15/03/2013
L'arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro.
Monsignor Filippo Santoro
ha lavorato con Bergoglio
in Brasile, nel 2007. Ricorda
le qualità del nuovo Papa:
fede, cordialità, fermezza.
E la capacità di stare
in mezzo alla gente.
Chi è papa Francesco? «Un uomo
mansueto ma al tempo stesso
fermo, che cerca sempre il vero
bene del popolo, a partire dalla presenza
viva del Cristo». Così risponde alla
nostra domanda monsignor Filippo
Santoro, 74 anni, arcivescovo metropolita
di Taranto.
Monsignor Santoro conosce molto
bene l’America latina. Dopo gli studi in
Italia, ha vissuto in Brasile dal 1974 al
2011 e dopo essere stato vescovo ausiliare
di Rio de Janeiro ha esercitato il ministero
pastorale a Petropolis.
– Monsignor Santoro, quando ha conosciuto
Jorge Mario Bergoglio?
«Ci siamo conosciuti quando lui era
vescovo ausiliare di Buenos Aires e io
ausiliare di Rio de Janeiro. L’incontro
avvenne a un convegno teologico e il
vescovo Jorge Mario Bergoglio mi fece
un’impressione straordinaria e positiva.
In lui ho subito colto grandi doti di
accoglienza e trasparenza, unite a
un’intelligenza molto profonda. Ricordo
ancora il suo approccio molto diretto.
Cominciò a chiamarmi subito per
nome: “Felipe, trabajamos juntos”, lavoriamo
insieme».
– Nelle sue prime uscite pubbliche dopo
l’elezione a Pontefice, Bergoglio ha
colpito per la sua semplicità. Anche lei
lo ricorda così?
«Sì. La sua è una semplicità evangelica
che mette in evidenza una Chiesa disarmata
e povera, che ha ben presenti
le difficoltà dell’uomo di oggi e che, a
partire dalla fede, condivide le situazioni
di povertà e difficoltà con un annuncio
semplice, attraente e accogliente».
– In quali altre occasioni avete avuto
occasione di incontravi?
«Abbiamo lavorato insieme in occasione
della V Conferenza generale
dell’episcopato latinoamericano che si svolse ad Aparecida, in Brasile, nel maggio
del 2007. In quella conferenza il cardinale
Bergoglio svolgeva un incarico
delicato: era il presidente della commissione
di redazione del documento finale.
Lui, in quella sede, si è dimostrato
sempre molto sereno, capace di valorizzare
tutti gli apporti, ma anche con una
centratura teologica straordinaria, mettendo
sempre l’accento sulla lode e la
preghiera. Tutto questo senza mai perdere
di vista la capacità di entrare nel
merito dei problemi».
– Quindi, il cardinale Bergoglio, oggi
papa Francesco, è un pastore al quale
non difettano le capacità di governo?
«Certo. In lui ho apprezzato una capacità
di governo notevole, improntata a
due aspetti: cordialità e fermezza. Cordialità
perché è un uomo che sa ascoltare
e valorizzare i suoi collaboratori. Ma,
al tempo stesso, in lui c’è fermezza, perché,
pur non essendo un curiale, riesce
a portare avanti e a difendere sino in
fondo ciò che ritiene giusto. Nella gestione
della Conferenza brasiliana di
Aparecida, per esempio, queste sue capacità
sono emerse in modo molto chiaro.
Lì, standogli vicino, abbiamo imparato
a conoscere il suo cuore profondamente
evangelico. La fermezza l’ha mostrata
anche di recente, penso ai suoi
contrasti con il Governo della presidentessa
argentina Kirchner».
– Che Papa sarà?
«Da cardinale, non molto tempo fa,
l’ho sentito dire ad altri vescovi che è
importante una cosa: il Papa sia il segno
di Gesù Cristo. Come vescovo è sempre
stato vicino ai problemi della gente,
soprattutto la povertà (ancora tanto diffusa
in molte aree dell’America latina),
la disoccupazione, l’ansia di giustizia.
La sua presenza accanto a questi problemi
parte dalla fede, dall’incontro vivo
con Cristo, con una trasparenza che nasce
solo dal Vangelo. Un aspetto della
sua azione pastorale è anche il valore
che attribuisce alla religiosità popolare:
Jorge Mario Bergoglio è un uomo che
sente la bellezza e l’intensità della fede.
Proprio per questo sa stare in mezzo alla
gente, vicino ai più poveri e alle persone
semplici».
Roberto Zichitella