23/03/2013
Don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa.
“Mi piace pensare che le lacrime dei suoi occhi, sgorgate nel momento dell'“elezione”, incrocino le lacrime di ogni uomo e ogni donna che si trascina negli angoli della terra, tra le miserie della storia e la fatica di ogni giorno. Forse anche le sue lacrime Santità, sono in parte quelle di chi, figlio di migranti in una terra lontana, ritorna nella culla delle sue origini. Le sue lacrime, non sono solo sue, sono anche le nostre; sono le lacrime di chi, vivendo su quest'isola, si misura con la corsa quotidiana nella dimensione dell'essere ultimi geograficamente, ma primi nella solidarietà, nella condivisione con chi, povero tra poveri, vive l'estremo disagio del niente o del tutto ormai perduto: la Patria, la Famiglia, la Dignità, il Nome”.
È questo il passaggio più intenso della lettera che, attraverso Migrantes, don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa, ha inviato a papa Francesco, invitandolo a visitare l'isola “Cuore del Mediterraneo, naturale crocevia di popoli, abitata da una comunità capace di farsi carico di gesti ascrivibili all'esercizio premuroso dell'incontro con l'altro”.
«Le lacrime - spiega al telefono don Nastasi - sono quelle che ho visto in chi vive il disagio, la solitudine, i fallimenti della vita quotidiana. Ma non bisogna rimanere alle lacrime, si deve ridare significato al quotidiano vivere della gente, cercando di calarsi nella vita di ognuno, senza distacco, senza linguaggi alti, mettersi a livello dell'altro, per comprendersi».
- Se il Papa accoglierà il vostro invito, che cosa gli mostrerete?
«Gli racconteremo quello che siamo, quello che viviamo ogni giorno, gli mostreremo il nostro cuore, la forza che ci viene dalla Parola di Dio. Lampedusa è un microcosmo, un simbolo di quello che la storia con i suoi mutamenti ci sta facendo vivere in questo tempo; con le difficoltà legate all'universo migratorio, siamo i testimoni primi di questo mutamento».
- Qual è il tratto che più vi rende speranzosi in questo Papa?
«Lui è figlio di migranti, partiti dall'Italia per un luogo lontano, sconosciuto. Una storia comune a quelle che incontriamo ogni giorno qui. Lui meglio di altri può capire lo sconquassamento dei cuori che c'è in questo passaggio di popoli. Per tutto quello che ha vissuto in un Paese del Sud del mondo, meglio di altri può entrare in questo dinamismo del Sud. La sua esperienza di vita nella Chiesa argentina è una ricchezza che si porta dentro e che può aiutarlo a comprendere quello che qui viviamo».
- E quello che vive Lampedusa è una realtà quotidiana di sostegno e di soccorso, anche se attualmente i migranti rimasti sono solo 25 e si registra un clima di serenità.
«Se ci trovassimo in difficoltà in questo momento, sarebbe davvero pesante, con l'Italia ancora priva di guida. Ai prossimi governanti dico che bisogna prendere sul serio il fenomeno migratorio, affrontarlo per il tempo a venire, non sempre come un'emergenza, serve quella pianificazione - a livello non solo italiano, ma europeo - che non c'è mai stata. Niente più tornaconti personali, di gruppo, o di partito, bisogna mettersi davanti al volto della gente, ascoltare, e cercare risposte appropriate».
- Da questo punto di vista, possiamo sperare in Laura Boldrini, ex portavoce dell'Alto Commissariato per i rifugiati e oggi presidente della Camera?
«Penso di sì, a partire proprio dall'esperienza che ha alle spalle, ma anche dalla sua sensibilità e umanità».
- La lettera non dimentica quelli che non ce l'hanno fatta.
“Ai migranti arrivati su queste sponde, la nostra piccola terra bianca è apparsa spesso l'agognata oasi di speranza, sognata lungo l'amara e silenziosa traversata del mare; altrettanto spesso, una porta di pietà per coloro i quali il mare Nostrum è diventato monstrum, mondo deserto, luogo di orribili paure, tomba, anziché grembo”.
- Le acque del Mediterraneo fanno da lenzuolo a 15mila corpi: uomini, donne, bambini, per lo più rifugiati, ovvero scappati da situazioni di guerra.
«Nessuno lascia volentieri la propria famiglia, la casa, la terra, senza un motivo», aggiunge il parroco. Ma quelli che ce l'hanno fatta a Lampedusa sono stati accolti come gente di famiglia, così come è volere del Padre, che si esplica attraverso le parole di Paolo: “Noi che siamo i forti, abbiamo il dovere di sopportare l'infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi” (Rm 1,15).
“Questa parola – dice ancora la lettera di don Nastasi - per noi si è fatta sacramento d'incontro di popoli e culture che nel viaggio della vita sono approdati su queste coste”. Poi, nello scritto, don Stefano manifesta al Santo Padre la vicinanza nella preghiera della comunità lampedusana.
Papa Francesco, alla cerimonia di inaugurazione del Suo Pontificato, ai grandi della terra ha detto: «Custodite il creato e l'uomo». Un altro spunto per il parroco di Lampedusa. «Custodire il creato. Dove meglio che in questo luogo? La nostra Spiaggia dei conigli è considerata la spiaggia più bella del mondo. La bellezza del territorio riportata nella bellezza del cuore. Dal luogo all'uomo, all'altro, chiunque egli sia».
Infine, dalla lettera, l'invito accorato del parroco: “Santità, il cuore del Mediterraneo La attende”. Al quale aggiunge: «Dal Cuore parlare al mondo potrebbe essere utile».
Romina Gobbo