23/03/2013
Ecco il testo completo della lettera che don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa, ha indirizzato a papa Francesco.
benvenuto tra noi!
All’inizio del suo Ministero Petrino mi
permetta di porgerLe il gioioso benvenuto a nome della comunità che vive a
Lampedusa, estremo lembo d’Italia e d’Europa, geograficamente distante da Roma
e dalle altre capitali europee, solo di recente resa nota a livello
internazionale dai media e dai loro operatori per essersi fatta Samaritano
dell’umanità.
Il nostro incontro con l’universo
migratorio proveniente da Sud, specialmente dal continente Africano, ha creato
grandi dinamismi, ha generato sorpresa e inevitabilmente scompigli e
sconvolgimenti.
Santità,
questa Isola, per disposizione creaturale,
è il Cuore del Mediterraneo, un naturale crocevia di popoli, ed è abitata da
una comunità capace di farsi carico di gesti ascrivibili all’esercizio
premuroso dell’incontro con l’altro. Accoglienza e condivisione, sono divenuti
i nostri segni di profezia evangelica e, speriamo, semi di bene per la futura
storia dell’Umanità.
Di certo, per coloro che continuano ad
usare i parametri delle loro usurate carte geografiche, la nostra è una realtà
molto piccola, tuttavia ha dato prova di sapersi dilatare quando la storia,
gravida di angoscia e di speranza, l’ha interpellata.
In questa terra che è appena uno scoglio,
d’Africa o d’Italia non importa perché la terra è tutta del Signore, per le
vicende che abbiamo vissuto ci è parso si riflettesse il “Cielo”.
Ai migranti arrivati su queste sponde, la
nostra piccola terra bianca è apparsa spesso l’agognata oasi di speranza,
sognata lungo l’amara e silenziosa traversata del mare; altrettanto spesso, una
porta di pietà per coloro i quali il mare Nostrum è divenuto monstrum, mondo
deserto, luogo di orribili paure, tomba anziché grembo.
Per molti di loro, solo la bussola del
cuore, è stata la stella polare nelle fatiche della traversata. Le lacrime che
solcano i volti di quante e quanti vengono recuperati dal mare, raccontano di
sole e di sale, brividi di freddo e fame, ed evocano, nello stesso tempo,
nostalgie per paesaggi e popoli lontani, lasciati - temporaneamente, credono-,
ma non abbandonati. La ricerca di un destino migliore per sé e per i figli che
verranno, la fuga da una persecuzione che calpesta la dignità dell’animo prima
ancora che del corpo, e annulla le libertà del cuore custodite nel tempo, non
sono che alcune delle forze che li hanno spinti all’intrapresa.
Ora per gli approdati quelle stesse
lacrime fecondano la storia che, ambigua, si apre dinanzi a loro, dischiusa
dalla complicità di una mano amica, da un abbraccio fraterno o semplicemente da
coloro che nell’oscurità della notte si sono fatti luce perché il passo non
tornasse ad inciampare.
Le lacrime dei migranti che, attraversano
questa terra, impastate alle nostre, mi rimandano ad altre lacrime, quelle
custodite tra le mura della stanza che, prima tra tutte, ha conosciuto il volto
del nuovo Vescovo di Roma.
Mi piace pensare che le lacrime dei suoi
occhi, sgorgate nel momento dell’ “elezione”, incrocino le lacrime di ogni uomo
e di ogni donna che si trascina negli angoli della terra, tra le miserie della
storia e la fatica di ogni giorno.
Forse anche Le sue lacrime Santità, sono in
parte quelle di chi, figlio di migranti in una terra lontana, ritorna nella
culla delle sue origini.
Le sue lacrime, non sono solo sue, sono
anche le nostre; sono le lacrime di chi vivendo su quest’isola, si misura con
la corsa quotidiana nella dimensione dell’essere ultimi geograficamente, ma
primi nella solidarietà, nella condivisione con chi, povero tra poveri, vive
l’estremo disagio del niente o del tutto ormai perduto: la Patria (terra), la
Famiglia, la Dignità, il Nome.
Il Suo invito ad essere Chiesa povera, di
poveri, piuttosto che per i poveri, ci provoca ad un nuovo stile di vita
laddove il Vangelo si fa Vita e la Parola si incarna ogni volta che ci si lascia
coinvolgere nell’esperienza dell’incontro.
A noi lampedusani è toccata la caparra di
ciò che è scritto profeticamente nel Cuore del Padre, reso esplicitamente nelle
parole di Paolo, l’apostolo delle genti (un campione per i suoi tempi, in fatto
di migrazione: naufrago più volte, in preda ai terrori del mare, alle arsure
del deserto, ai tranelli dei malintenzionati che da sempre sguazzano nei lazzi
delle tratte umane) che non poche volte ci hanno sostenuto: “noi che siamo i
forti abbiamo il dovere di sopportare l’infermità dei deboli, senza compiacere
noi stessi” (Rm 1,15). Questa parola per noi si è fatta sacramento d’incontro
di popoli e culture che nel viaggio della vita sono approdati su queste coste.
Santità,
questa comunità ultimo lembo d’Europa e porta
prima per il suo ingresso da sud, Le manifesta la vicinanza nella preghiera e
la condivisione nella passione per il servizio evangelico all’uomo
contemporaneo.
Siamo frontiera senza frontiere, grembo
che genera speranza, uomini fragili che vivono il mare con i suoi rischi, ma al
contempo, discepoli del Cristo che desiderano testimoniare l’amore e le sue
fatiche.
Crediamo, nel solco del compianto vescovo
don Tonino Bello e del nostro vescovo don Franco, che “a chi ci mostra il segno
del potere occorre mostrare il potere dei segni”. Allora sì, la primavera del
mondo, la nostra primavera arriverà, anzi, è già iniziata.
Santità,
questa comunità mentre Le augura un buon
cammino, Le chiede con semplicità di essere accompagnata dalla preghiera del
suo cuore per continuare ad avere il coraggio di “camminare”, “edificare”,
“confessare”, nella condivisione fraterna della gioia e del dolore dell’uomo
che incontra lungo il suo incedere.
E la invita a farsi pellegrino in questo
santuario del creato, dove per migliaia di migranti, senza patria e senza nome,
è rinata la speranza del domani nella certezza amica dell’oggi.
Santità il cuore del Mediterraneo La
attende.