Il Vaticano trasloca in Bahrain

Il vicariato apostolico dell'Arabia del Nord, che si occupa della cura pastorale di due milioni e mezzo di fedeli, quasi tutti immigrati, si sposta dal Kuwait al Bahrain. Ecco perché.

Shari'a in Kuwait, repressione in Bahrain

13/08/2012
L'arresto di due oppositori in Bahrain (foto Reuters).
L'arresto di due oppositori in Bahrain (foto Reuters).

E' comprensibile che, nel commentare lo spostamento della sede del Vicariato dal Kuwait al Bahrain, le fonti vaticane tengano a tenere un profilo basso e ad addurre soprattutto motivazioni pratiche, logistiche. Ma la decisione non è priva di implicazioni e di possibili conseguenze.


Monsignor Camillo Ballin, il Vicario, nell'annunciare il trasferimento ha fatto un discreto cenno alla politica dei visti: quella del Bahrain, più morbida, agevolerebbe l'"organizzazione di incontri tra i sacerdoti e i cattolici di altri Paesi". La questione dei visti è spesso usata come una "barriera" contro le attività della Chiesa, e non solo nei Paesi del Golfo (basta pensare alla Russia). Ma solo qualche mese fa, proprio in Kuwait, monsignor Ballin si era trovato a fronteggiare l'offensiva del partito islamico Al Adala (La Giustizia) per limitare le costruzione di luoghi di culto cristiani nel Paese e, più in generale, per restringere la già non enorme libertà d'azione della Chiesa.

In quel caso, monsignor Ballin aveva osservato: "Quando la pratica religiosa è tutelata, anche la vita sociale è più semplice: quindi perché i fedeli stranieri non possono avere un luogo di culto? Noi vogliamo collaborare con il Governo per migliorare la società kuwatiana. Ma per fare questo abbiamo bisogno di potere assicurare una continua formazione religiosa dei nostri fedeli e questo richiede spazio, tempo e personale”.

Spazio, tempo e personale: proprio ciò che era a rischio in Kuwait e che il Bahrain (che ha già annunciato l'autorizzazione alla costruzione di una nuova chiesa) pare invece più propenso a garantire.

Allo stesso tempo, però, la nuova sede del Vicariato porta con sé un'ombra che non riguarda la Chiesa cattolica ma che andrà in qualche modo gestita. Il piccolo Stato di 33 isole sulla carta è una monarchia costituzionale ma nella realtà è retto in maniera assolutistica dalla famiglia Al Khalifa. Nella primavera del 2011, in sintonia con i moti di protesta della Primavera araba, anche i cittadini del Bahrain scesero in piazza per chiedere più democrazia e libertà. Le proteste (certo non le prime, anche nella storia recente del Paese) furono brutalmente stroncate dalla polizia, con molti morti, arresti arbitrari e processi-farsa. Gli Al Khalifa chiamarono in soccorso anche le forze armate dell'Arabia Saudita, che dispiegarono in Bahrain numerosi reparti corazzati.

Di fronte a tutto questo, e soprattutto considerando la presenza del vicino Iran (gli abitanti del Bahrain sono in maggioranza sciiti, anche se la casa reale e la casta dominante sono sunnite), la comunità internazionale ha preferito girare gli occhi e far finta di niente. Ora è tornata la calma, ma in futuro?

 Fulvio Scaglione

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