22/06/2011
padre Vismara in una foto che documenta la sua avventurosa vita in Birmania.
A padre Clemente Vismara, che sarà proclamato solennemente beato il 26 giugno prossimo, sono bastati solo 15 anni dalla chiusura della fase diocesana della causa per salire agli altari. Un piccolo, grande record per uno che – come ha scritto padre Gheddo su Mondo e Missione - «non è stato un martire né un vescovo né un fondatore o superiore di ordine religioso; non ha avuto visioni o compiuto miracoli e non ha costruito grandi chiese o scuole o importanti opere ecclesiali».
Qual è allora il segreto di una causa così rapida, per di più avviata – anche questa un’assoluta “anomalia” – non dall’istituto di appartenenza o dalla diocesi, bensì da un drappello di laici, il Gruppo missionario della parrocchia di Agrate, capitanato dall’infaticabile Rita Gervasoni?
Spiega Alberto Colombo, membro del Gruppo Amici di padre Clemente: «Il 21 giugno, giorno dei funerali di padre Clemente a Mongping, gli agratesi partecipano alla Messa in sua memoria presieduta da mons. Aristide Pirovano, già superiore del Pime. Al termine della celebrazione il coro è unanime: “È morto un santo!”».
Il 22 giugno 1988, appena una settimana dopo la morte, viene stilata una petizione con centinaia di firme da presentare al Pime e a mons. Abramo Than, vescovo di Kengtung, con la richiesta di introdurre la causa di canonizzazione di padre Clemente. Il Gruppo missionario la conserva gelosamente fino al 1993, quando padre Gheddo informa Rita Gervasoni, che intende fare un viaggio in Myanmar sulle orme di padre Clemente: La responsabile vede nel viaggio l’occasione propizia per far giungere a mons. Than la petizione pro-causa.
Inizia così la straordinaria avventura degli “Amici di padre Clemente” che nel 1994 ricevono dal parroco il compito di seguire la Causa di canonizzazione. Mons. Than accetta di buon grado di raccogliere le testimonianze della gente che ha conosciuto il missionario, accumulando un poderoso dossier, sufficiente a dimostrare la “fama di santità” di Clemente, divenendo così il principale artefice della Causa.
«Non avevamo visto una cosa simile – racconta egli stesso - . Abbiamo avuto tanti santi missionari del Pime in diocesi. Ma per nessuno di essi si sono verificati devozione e una mobilitazione popolare come per padre Vismara, non solo da parte dei cattolici, ma dei non cristiani animisti, buddhisti, indù, musulmani. In questo io ho visto un segno di Dio».
In realtà la “fama di santità” attorno alla figura del missionario brianzolo si era registrata già al momento della morte, quando moltissime persone, di tutte le fedi, accorsero a nel villaggio di Mongping per tributare l’estremo saluto al “padre che sorrideva sempre” (questo uno degli appellativi con cui la gente si riferiva a Vismara). La salma era rimasta esposta ben sei giorni alla venerazione dei fedeli (senza conseguenze di sorta, pur in un contesto ambientale sfavorevole, con una temperatura molto calda e altissimo tasso di umidità).
Lo stesso mons. Than, con un gesto profetico, recide alcuni peli della barba che verranno conservati gelosamente: diventeranno la prima reliquia del futuro beato.
Viene quindi nominato postulatore padre Piero Gheddo (che rimarrà in carica fino al 2010), il quale istruisce mons. Than sulle procedure da seguire, ma ben presto il vescovo birmano si rende conto di non avere i mezzi e l’esperienza necessari per procedere. Richiede perciò al Cardinale Martini di aprire il processo nella diocesi di Milano.
Il processo diocesano della causa di beatificazione, iniziato dal card. Carlo Maria Martini il 18 ottobre 1996 e chiuso dallo stesso ad Agrate il 17 ottobre 1998 con 132 sessioni e l’interrogazione di 121 testimoni in Birmania, Italia, Thailandia e Brasile, ha ricevuto dalla Congregazione dei Santi il “decreto di validità” il 7 maggio 1999. Da allora sono passati solo poco più di 12 anni per giungere alla beatificazione del 26 giugno prossimo: «la semplicità e la trasparenza Clemente hanno conquistato i severi membri delle commissioni della Congregazione dei Santi (cardinali e teologi) – racconta padre Gheddo. Costoro hanno approvato con entusiasmo i vari passaggi del cammino di Vismara verso la santità».
Una santità vissuta nel quotidiano, aliena da gesti eclatanti.
Ancora padre Gheddo: «Quando si è iniziato a pensare alla sua causa di beatificazione, padre Osvaldo Filippazzi, che è stato con lui fino alla morte, mi diceva: “Sì, Clemente era un bravo missionario, ma se fate santo lui dovete fare santi anche noi che abbiamo fatto la sua stessa vita”». E allora, perché Vismara è Beato? «Forse proprio per questo motivo – sottolinea Gheddo -: era un missionario come tutti gli altri, però “straordinario nell’ordinario”. Ha vissuto per 65 anni la normale vita di missione in modo straordinario, per la fede, la carità, la preghiera, la donazione totale al suo popolo, la generosità, la gioia di vivere e l’entusiasmo del suo sacerdozio e della vocazione missionaria».
Roberto Jeekham, laico birmano sposato, nato nel 1967, era un parrocchiano di padre Vismara a Mong Ping. Per portare la sua testimonianza al processo di beatificazione, ha affrontato un viaggio a piedi di quattro giorni. Nelle sue parole è condensato, per così dire, il segreto della santità di padre Vismara.
«Ho conosciuto padre Clemente quando era a Mongping – spiega Roberto - e devo a lui la mia conversione. Infatti io ero animista ed egli mi ha condotto alla fede: ora sono contento di essere cristiano cattolico. Ciò che mi convinse a credere in Gesù fu proprio la grande fede di padre Vismara e la sua intensa carità. Egli pregava sempre e insegnava a pregare. Padre Clemente aveva una grande fiducia nella Provvidenza, nelle sue prediche non mancava l’invito a non perdere mai la speranza; a ricordarsi che Dio ci è vicino ogni giorno e non manca mai di darci ciò di cui abbiamo bisogno, soprattutto se cerchiamo di fare del bene agli altri. Bruciato dal desiderio di salvare le anime, non era mai a riposo, ma sempre in viaggio: per sostenere la fede nei cristiani e per visitare i villaggi degli animisti per annunziare il Vangelo. Lo faceva senza paura, con il sorriso sulle labbra, con il suo stile simpatico, sempre disponibile a dare un aiuto a quanti ne avevano bisogno, soprattutto se piccoli».
Gerolamo Fazzini