29/06/2012
Il Dalai Lama.
Si
chiama Tenzin Gyatso e in tre giorni ha “chiamato”circa diecimila persone che hanno pagato da venti a trenta
euro per sentirlo parlare nel grande palazzo dello sport di Milano. Una visita
a sorpresa al Duomo dove ha chiesto
fosse deposta sull’altare la sciarpa bianca di seta tibetana che è il suo
simbolo di pace. “Fa parte della mia pratica promuovere l’armonia tra le
religioni- ha detto- E vi dico che tutte le religioni portano lo stesso
messaggio e hanno tante pratiche comuni. L’obiettivo è di aiutare gli altri, il
consiglio è non cambiate la vostra religione”. Un discorso che il
quattordicesimo Dalai Lama ripete nel mondo sin dagli anni settanta, durante i
suoi pellegrinaggi.
A Milano, lo aspettava il conferimento della
cittadinanza onoraria promessa e poi negata dal sindaco Pisapia dopo un
intervento a gamba tesa del Governo cinese, che minacciava di sabotare l’Expo
del 2015. Poteva nascere un caso diplomatico ma
lui ha commentato senza polemica: “Succede ovunque vada”. La gente comune probabilmente
si è chiesta come e perché quell’uomo, premio Nobel per la pace, riesca a trasmettere un senso di pace e di
serenità a chi si avvicina a lui. E
anche per questo è nata la curiosità di
conoscerlo da vicino, di ascoltare i
suoi messaggi di pace in quello che è il tempio della musica pop.
Bene, voglio raccontarvi quello che mi è accaduto quando l’ho incontrato e conosciuto
personalmente. Qualche anno fa era
arrivato nel nostro Paese per incontrare i suoi fedeli in una “Casa del Tibet”
arrampicata sull’Appennino tosco-emiliano. L’invito era da una cara amica, Ivana Spagna, molto legata
al Dalai Lama. L’appuntamento era nella
piazzetta di un piccolo paese alle falde della
montagna: la piazza era stata allestita con grande semplicità, qualche
sedia riservata agli ospiti e tutto attorno il paese al gran completo, alunni
delle scuole compresi.
A un certo punto un acquazzone improvviso tentò di
rovinare la festa, ma nessuno si mosse e neanche un ombrello si aprì.
Nonostante la pioggia, qualche minuto
dopo arrivò il Dalai Lama con la sua tunica arancione e il braccio destro nudo. Si trovava qualche metro sopra la piccola piazza e mentre
tutti stavamo con il naso all’insù di
colpo la pioggia cessò e alle sue spalle
apparve un grande arcobaleno. Quasi fosse un segnale, subito i bambini
cominciarono a gettare petali di fiori su di lui e sulla gente in piazza. Un momento da brividi, vi garantisco.
Certo una straordinaria casualità, un
comune fenomeno meteorologico. Comunque era successo qualcosa che nessuno si aspettava.
Poi su sino alla Casa
del Tibet. E ognuno dei pochissimi invitati ebbe personalmente quella sciarpa
bianca che il Dalai Lama concede in segno di amicizia, un auspicio di serenità,
di pace interiore, quasi una specie di benedizione. “Usate il cuore", ha detto
durante le conferenza stampa a Milano e, rivolto a noi giornalisti: "Non
raccontate solo fatti negativi, abbiate il naso lungo come l’elefante,
informatevi, cercate di impadronirvi della conoscenza più completa e raccontate
la verità”.
Ecco, forse queste parole e
la mia piccola storia “fantastica” possono aiutare a capire ciò che quell’uomo, perseguitato con la sua gente, rappresenta
per chi si avvicina a lui. Quello che ho avuto il privilegio di vivere lo considero momento magico. Un segno di pace che, soprattutto di questi tempi, è quasi una
benedizione.
Paolo Perazzolo