Szymborska, piccole cose grandi versi

Omaggio a Wisława Szymborska, l'autrice polacca vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1996, scomparsa ieri all'età di 88 anni.

Un universo comico e lieve

02/02/2012
Wisława Szymborska è scomparsa a 88 anni.
Wisława Szymborska è scomparsa a 88 anni.

Wisława Szymborska ha fatto di tutto nella sua vita di scrittrice per incantare e alleggerire, per eludere i luoghi comuni e le ovvietà. La morte che l’ha colta a ottantotto anni era stata varie volte lambita, toccata, manomessa nei suoi versi: con leggerezza, con ironia e con la capacità di sorprendersi e sorprendere. Questo era il grande, raro dono (specie per una tradizione come quella italiana) della poetessa polacca (era nata vicino a Poznań nel 1923): usare del quotidiano, del comune, del noto come un grimaldello, come una quinta o un fondale all’improvviso spalancato su un brusio di voci, ipotesi, possibilità metafisiche; occuparsi della superficie e insieme della sostanza profonda, quasi senza parere, senza sforzo.

Chi ha letto anche solo qualche testo di questa raffinata e calibratissima autrice (la sua produzione non è stata particolarmente ricca, ma estremamente decantata) non può non aver tratto dai suoi versi un senso di delizia. Le cose del mondo, le cose usuali, i luoghi, i gesti, le specie animali, le situazioni diventano sulla sua pagina una sorta di universo comico e lieve, rivelatore e paradossale. Come un altro mondo, in cui il discorso sulla verità, mentre sembra negarsi, si avvera in un tono e con un andamento dimesso e piano. Molti dei suoi testi procedono non a caso secondo lo schema dell’elencazione, usando formule di ripetizione quasi litaniche, così radicate nel Dna della forma poetica.

La sua opera, dopo un paio di raccolte ancora in odore di ideologia comunista, aveva preso il volo a partire da Appello allo Yeti (1957), seguito da una serie di libri privi di sbavature, quasi perfetti nella loro esibita imperfezione: si tratta infatti di una poesia non altisonante, apparentemente semplice, anche se sostanziata di abilità tecnica e di mestiere. E di come scrivere (o non scrivere) si era occupata a lungo l’autrice, impegnata a redigere la rubrica per aspiranti scrittori di una rivista letteraria polacca. Fu il ruolo, quello di redattrice, più stabile e duraturo del suo curriculum, segnato per il resto, fin dal periodo degli studi, da irregolarità e precarietà. Anche quel posto, del resto, dovette infine lasciare nel 1966 per essersi allontanata dal Partito comunista polacco. A ripagarla di tutto giunse nel 1996 il premio Nobel per la letteratura, che la segnalò ai lettori di tutto il mondo. Da allora (ma già qualche mese prima una sua raccolta era stata pubblicata da Scheiwiller, a cura del benemerito Pietro Marchesani) è diventata una poetessa di culto anche in Italia: Paese che amava, ricambiata.

Daniele Piccini

A cura di Paolo Perazzolo
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