La danza, anima delle donne

Al Teatro Cagnoni di Vigevano, lo spettacolo "Me", di Simona Atzori e con Oriella Dorella. Racconta l'universo femminile e la maternità nel giorno della donna.

08/03/2011
La ballerina Oriella Dorella.
La ballerina Oriella Dorella.

Parlare e far parlare, attraverso la danza, dell’universo femminile, dell'innata, inarrestabile forza d'animo delle donne e del ruolo vitale della maternità. E' questo il significato dello spettacolo Me, in programma stasera 8 marzo 2011 alle ore 21.00 al Teatro Cagnoni di Vigevano. Lo ha creato Simona Atzori, pittrice e ballerina di livello internazionale, che con la sua arte ha saputo andare al di là della disabilità fisica (è nata senza braccia) dando vita a forme di espressività intense e inedite. Ambasciatrice della danza durante il Giubileo del 2000, ha ballato alla cerimonia di apertura delle Paralimpiadi di Torino 2006, testimoniando un amore per la vita capace di oltrepassare ogni barriera. Il nostro settimanale Famiglia Cristiana le ha dedicato un'intervista sul numero 3 di quest'anno

   Il ricavato dello spettacolo, organizzato dal Lions Club Vigevano Host con il patrocinio del Comune di Vigevano, sarà devoluto alla Fondazione Comunità Madre Amabile ONLUS di Vigevano, che da molti anni svolge un importante lavoro di accoglienza per bambini tra i 6 e i 13 anni provenienti da famiglie difficili.  

   Nel cast dello spettacolo anche Simona Brazzo, prima ballerina del Teatro alla Scala, insieme ai ballerini Marco Messina, Lara Montanaro e Salvo Perdichizzi del Teatro alla Scala; completano il corpo di ballo Eloisa Milletti, Mariacristina Paolini e Giusy Sprovieri di SimonArteDance Company.

   Testimonial d’eccezione sul palco è Oriella Dorella, icona mondiale della danza classica, per molti anni étoile del Teatro alla Scala di Milano. Abbiamo incontrato la Dorella a Vigevano, tra una prova e l'altra dello spettacolo. 

   "In un primo tempo dovevo semplicemente parlare della mia difficile esperienza di maternità, prima negata e poi felicemente culminata nell'adozione dei miei due ragazzi, Moises e Marcos", spiega Oriella Dorella. "Poi, ho pensato che parlare non è il mio vero linguaggio. Ho deciso quindi di interpretare me stessa in questo spettacolo nel modo che da sempre mi è più congeniale: la danza".

- Come è nata la collaborazione con Simona Atzori?
"Lei è l'ideatrice e la promotrice di questo spettacolo. Mi ha invitato e per me è stata una grande gioia. E' una donna straordinaria, l'ammiro tantissimo per quanto è riuscita a fare grazie a un'enorme forza interiore, per inserirsi nel mondo dell'arte e della danza. E' quello che si dice una piccola, grande donna: in realtà, infatti è davvero uno scricciolo".

- Una stima che è diventata anche amicizia.
"Sì, mi piace parlare con Simona, ci intendiamo molto. Insieme chicchieriamo volentieri di tutti i problemi di noi donne, della famiglia, dei figli. La danza, poi, è come la vita. Ballando abbiamo imparato tutte e due a esprimere le nostre emozioni, la paura, la gioia. Simona ha un'espressività corporea superiore a qualsiasi altra persona. Ha un fisico duttile, che sa trasmettere forti emozioni. Ha fatto del suo corpo e della sua forza di volontà una bandiera. Ed è bellissima".

- Lei è una bella donna, dagli occhi magnetici. L'estetica l'ha in qualche modo favorita nella danza?
"Quando lavoravo alla Scala avevo un bravissimo maestro ripetitore polacco, Robert Stainer. Lui diceva sempre: per quanto indossi il tutù più prezioso e porti l'acconciatura più bella, quando sali su un palco sarai sempre solo tu, con la tua anima a nudo. Certo, per essere idonei alla danza occorrono certe caratteristiche fisiche, una determinata struttura, ma questo solo per l'aspetto atletico, che davvero non è tutto. La tecnica è una parte importante, ma sul palco porti le tue esperienze, la tua vita, davvero quello che sei. Per questo, Simona può esprimersi nella danza meglio di chiunque altro, perché ha un cuore davvero speciale".

- Sul palco, dunque, occorre andare oltre il fatto tecnico: arrivare a provare e far provare di conseguenza al pubblico vere emozioni?    
"Occorre abbandonarsi alla danza. Questo presuppone ovviamente una conoscenza della coreografia perfetta, assoluta, che permette dei veri automatismi. Solo a quel punto si può ballare davvero e sentire l'emozione. Per giungere a questo, occorre avere alle spalle qualcuno che ti sostiene e ti aiuta. Per esempio, un teatro come è stato per me La Scala di Milano, che mi ha accolto in modo meraviglioso fin da quando ero piccolina. Quello è stato per anni tutto il mio mondo e una guida per la vita. Poi, dei coreografi che sappiano darti la giusta carica e che capiscano quali sono i ruoli più adatti al tuo modo di essere. Infine, nei passi a due, ballerini con cui ci si senta in vera sintonia. Io ho avuto la fortuna di essere alla Scala nell'epoca d'oro. Ho lavorato con artisti come Rudolf Nureyev, Vladimir Vassiliev, Gheorghe Iancu, Marco Pierin... Ancora adesso, quando ripenso a quel periodo, alla fortuna che ho avuto di frequentare un luogo dove passavano personaggi come la Callas, Placido Domingo o Margot Fonteyn mi commuovo. E piango vere lacrime di gioia e nostalgia".

- La danza fa sempre parte della sua vita?
"Lo sarà sempre. Sono nata danzando. Da piccola ballavo nell'aia di mia nonna, vicino a Sabbioneta. Non sapevo cosa fosse un balletto, cosa fossero delle scarpette da punta. Mi infilavo dei vecchi zoccoli perché, essendo di legno, mi permettevano di salire sulle punte. Quando ho visto per la prima volta il balletto La strada, con musiche del maestro Nino Rota, mi sono detta: devo ballare per essere come Gelsomina, la protagonista. E così è stato. La vita mi ha dato tanto, anche se in qualche momento non è stata poi così felice. Oggi, se sento una musica provo la stessa gioia ed emozione di sempre. Magari è solo il canto di un karaoke, ma mi viene sempre di muovermi e danzare".

La danza è vita. Ce lo ha spiegato lei, perciò ci piace immaginare Oriella che si abbandona alla danza senza più l'obbligo delle infinite, implacabili sequenze di passi dei brani di repertorio. Proprio come la bambina di un tempo nell'aia di Sabbioneta.
 
  

di Giusi Galimberti
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