11/06/2011
Nel primo reattore nucleare, la pila di Fermi del 1942, la barra di controllo che serviva a spegnere il reattore era sospesa a una fune che doveva essere recisa a mano da un uomo con un’ascia, il Safety Control Rod Axe Man, ovvero SCRAM. “Il nucleare è una tecnologia che presenta costi enormi, completamente fuori mercato, tanto che negli Stati Uniti per spingere gli investimenti dell’industria nucleare il Governo ha dovuto mettere la sua garanzia sui prestiti di chi realizza le centrali”, dice Angelo Baracca, fisico, professore all’Università di Firenze che, insieme a Giorgio Ferrari Ruffino, esperto di combustibile nucleare che ha lavorato per anni all’Enel, è autore e curatore di SCRAM (l’acronimo è proprio quello, Jaca Book, pg.412, euro 34), al cui interno si trovano anche i contributi di Ernesto Burgio e Mycle Schneider.
Secondo le tesi del libro siamo di fronte a una tecnologia costosa, non remunerativa e niente affatto sicura come si pensa, perché estremamente complessa e quindi difficile da gestire vista l’imprevedibilità delle situazioni che si possono presentare. Ci sono poi notevoli problemi di inquinamento: non solo non è vero che è del tutto privo di emissioni di CO2, ma presenta alti costi economici e ambientali, c’è la questione della dismissione delle centrali alla fine del periodo di esercizio e quella dei prodotti di scarto del ciclo di funzionamento, le cosiddette "scorie". I rischi per la salute sono alti, e non solo per l’esposizione a dosi massicce di radiazioni, ma come rivelano recenti e ancora poco note ipotesi scentifiche, anche per l’esposizione prolungata a piccole dosi di agenti radioattivi.
E da ultimo, contrariamente a quanto si pensa, il nostro Paese non ne ha affatto bisogno in termini energetici.
Il professor Angelo Baracca.
“La questione della sicurezza”, continua Baracca, “è ampiamente sottovalutata. Per esempio: a
Fukushima, si sente dire, c’è stato un incidente. Ma non è vero, ce ne
sono stati tre, e per fortuna gli altri tre reattori erano spenti.
Per non parlare poi delle piscine con le barre di combustibile
irraggiato, anch’esse oggetto di incidente. Si tratta di barre che sono
fuori da un contenitore primario ma continuano ad emettere calore. Una
volta arrestata la reazione nucleare, infatti, e anche quando sono
estratte dal reattore e messe a riposo nelle piscine, hanno accumulato
una grande quantità di isotopi radioattivi che continuano a decadere e a
produrre energia. Se le barre non vengono opportunamente separate e
raffreddate, la temperatura può salire fino ad arrivare alla fusione”.
Per quanto riguarda i costi nel caso giapponese si parla di danni che superano i cento miliardi di dollari,
cifre come queste fanno capire come mai esistono convenzioni
internazionali che limitano a poche centinaia di milioni di dollari le
responsabilità per danni derivanti da incidenti nucleari, nessuna
assicurazione coprirebbe un’impianto per premi così grandi da superare
il bilancio di un piccolo Stato. Ecco perché i costi degli incidenti,
tipo quello avvenuto a Fukushima, ricadono necessariamente sulle spalle
dei contribuenti.
“Un’altra fonte incontrollata della spesa nucleare”, aggiunge
Baracca, “è rappresentata dai costi di smantellamento, per i quali non
c’è nessuna vera esperienza precedente sulla quale basarsi. Nel mondo ci
sono circa 140 reattori spenti e 440 in funzione, 20 dei quali sono in
fase di arresto. Tuttavia le esperienze di smantellamento completo
riguardano solo piccole centrali da 40-50 Megawatt. Il ché vuol dire che
non esiste alcuna esperienza di smantellamento delle moderne centrali che vanno dai 400 MW fino a superare i mille, e che sono buona parte di quelle in piena attività, in Francia come negli Stati Uniti. Dei relativi costi non si sa nulla”.
Secondo gli scienziati italiani infine è vero che il processo di
fissione non produce CO2, ma tutto quello che sta a monte, e cioè
l’estrazione dell’uranio e il suo arricchimento, richiedono energia e
quindi produzione di anidride carbonica. Secondo uno studio dell’MIT,
citato dal professor Baracca, per un reale abbattimento delle emissioni
a livello mondiale servirebbero migliaia di reattori nucleari, “ma
in mezzo secolo”, conclude, “se ne sono costruiti solo 600. Dal punto di
vista industriale il nucleare si è rivelato un colossale fallimento”.
Alessandro Micci