03/02/2012
Secondo
l’Organizzazione mondiale della sanità il fumo di sigaretta è la più
importante causa di morte evitabile nella nostra società. Il Rapporto
annuale sul fumo presentato all’Istituto superiore di sanità il 31 maggio 2011
stima che in Italia ogni anno circa 70.000 persone perdono la vita a causa di
questa abitudine: un dato in calo, visto che se ne contavano 80mila dieci anni
fa. L’Istituto superiore di sanità stima che il fumo di tabacco sia responsabile
di un terzo delle morti per cancro e del 15 per cento circa di tutti i decessi che
avvengono per qualunque causa. Molti studi scientifici hanno infatti dimostrato
che chi fuma tabacco rischia più degli altri di sviluppare oltre 50 gravi
malattie, non solo tumorali: il fumo aumenta di 10 volte il rischio di morire
di enfisema, raddoppia quello di avere un ictus e aumenta da due a quattro
volte quello di essere colpiti da un infarto. Le sostanze
cancerogene contenute
nel fumo favoriscono poi lo sviluppo di tumori al polmone, che in
nove casi su 10 possono essere ricondotti a questa cattiva abitudine; ma
stimolano anche in diversa misura i tumori del cavo orale e dellagola,
del pancreas, del colon,
della vescica,
del rene e di alcune leucemie.
Si
ritiene che i costituenti del fumo con maggiore potenziale cancerogeno siano l’1,3-butadiene,
l’arsenico, il benzene e il cadmio. Il primo è meno potente di altre sostanze,
ma è considerato il più importante perché presente nel fumo di sigaretta in
grandi quantità; l’arsenico è
particolarmente pericoloso anche perché tende ad accumularsi nell’organismo; il benzene è responsabile di una quota
significativa (dal 10 al 50 per cento) delle leucemie provocate dal fumo; il cadmio introdotto fumando sigarette è in
quantità tali da superare la capacità dell’organismo di neutralizzarne l’azione
tossica.
Limitare la quantità di sigarette fumate può aiutare? Non esiste una soglia di sicurezza
sotto la quale il fumo non produce danni, anche perché le conseguenze tendono ad accumularsi nel
tempo. Per questo, negli studi che indagano il legame del fumo con le varie
malattie, si usa come unità di misura il "pacchetto-anno", un
criterio che tiene conto del numero di sigarette fumate in media ogni giorno,
ma anche della durata del periodo di esposizione. In altre parole, fumare mezzo
pacchetto al giorno per due anni equivale a fumarne uno intero per un anno. Le
mutazioni prodotte dalle sostanze cancerogene, inoltre, si sommano ma avvengono
ogni volta in maniera casuale. Ciò non significa che tutti i fumatori
svilupperanno un tumore, né che la malattia
non possa insorgere in persone che non hanno mai messo in bocca una sigaretta:
molti altri elementi, genetici o ambientali, possono contribuire a proteggere
l’organismo o viceversa a favorire lo sviluppo di un tumore, ma non fumare (o
smettere) è certamente uno dei passi più importanti che si possono fare per ridurre il proprio rischio personale di ammalarsi.
Fumo passivo. È ormai stato ampiamente
dimostrato che i danni del fumo si estendono anche a chi, per il fatto di
vivere o lavorare insieme a uno o più fumatori, è stato costretto a respirare
per anni sia il fumo emesso dal fumatore dopo che lo ha inalato (mainstream
smoke), sia quello liberato direttamente dalla combustione della sigaretta
(sidestream smoke). Ormai ci sono prove inequivocabili che il fumo
passivo è responsabile di almeno una quota dei tumori al polmone nei non
fumatori, oltre che di malattie cardiache, asma e altri disturbi meno gravi. È
stato infatti calcolato che aver respirato il fumo altrui aumenta di circa il
25 per cento il rischio di tumore al polmone e di malattie al cuore di un non
fumatore.
Eleonora Della Ratta