Come uscire dall’autismo

Definire clinicamente l’autismo si rivela, da sempre, impresa ardua e complessa. Un nuovo approccio interviene sulla dimensione affettiva e corporea dei piccoli pazienti.

La dimensione degli affetti

15/03/2012

Come abbiamo avuto modo di sottolineare in diverse occasioni, anche le teorie di stampo psicodinamico più criticate dai loro detrattori, hanno posto l’accento sulla difficoltà del bambino ad attivare un’adeguata responsività nella madre e non solo su carenze genitoriali. Parlare di dimensione affettiva, oggi, significa attribuire valore al processo di sintonizzazione che viene a crearsi fin dai primi scambi di vita e che dipende dalla capacità, generalmente innata nel bambino, di far comprendere i propri bisogni attraverso lo scambio corporeo che la madre può modulare attribuendogli anche un significato sociale.

Se il bambino non è in grado di stimolare la risposta della madre, quest’ultima si troverà a non poter corrispondere ai bisogni del bambino e ciò determinerà un’interazione sempre più difficile e un’impossibilità comunicativa. L’impossibilità o la seria difficoltà a sintonizzarsi con le figure di riferimento impedisce il raggiungimento dell’empatia intesa come base imprescindibile per qualsiasi relazione con gli altri e per qualunque processo di apprendimento.

Come abbiamo evidenziato attraverso la nostra ricerca sull’efficacia della terapia, sostenere la dimensione affettiva significa lavorare per l’ampliamento delle condotte cognitive e per l’apertura alla dimensione sociale. Il deficit cognitivo viene considerato, in questa prospettiva, secondario a quello affettivo e a esso strettamente correlato nella misura in cui il bambino può colmare il proprio gap solo quando è in grado di condividere l’attenzione con l’altro imparando, come avviene nel corso dello sviluppo, ad apprendere dall’esperienza.

È interessante sottolineare, a questo riguardo, il fatto che, nella ricerca da noi condotta su un gruppo di 135 bambini, la presenza di ritardo mentale è stata inferiore a quella riportata nel Dsm-IV, attestandosi al 44% contro il 75%. Ovviamente la differenza è determinata dal percorso terapeutico, che non ha creato, ma semplicemente ha fatto emergere le potenzialità intellettive che erano presenti ma inespresse. Relativamente all’efficacia della terapia, infatti, è stato possibile effettuare su un campione di 79 bambini un re-test attraverso l’Ados-G e la Leiter- R, e si è potuto riscontrare un miglioramento significativo per tutto il campione dopo due anni di terapia, tale da permettere un cambiamento di diagnosi nel 40% dei casi e un miglioramento tale da consentire l’uscita dall’autismo, secondo la diagnosi Ados-G, in circa il 24% dei casi.

Magda Di Renzo,
Federico Bianchi di Castelbianco

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