Essere volontari al giorno d'oggi

Descrivere lo stato odierno del volontariato è un compito arduo. Le sfide a cui è chiamato, però, non ne fanno perdere il suo senso e significato.

Criticità del fenomeno

19/05/2011

L’incerta definizione. Chi studia oggi il fenomeno della solidarietà organizzata è necessariamente alle prese con un problema di definizione. Quale parte del fenomeno si vuole rappresentare? Occorre pertanto delimitare il campo di rilevazione in base a dei criteri definitori (di tipo inclusivo/ esclusivo) che condizionano inevitabilmente la rappresentatività del fenomeno.
Oggi questo si presenta più complesso di un tempo per una maggiore eterogeneità di casi:

  1. le Odv in linea con la L. 266 e con i requisiti e le scelte di valore di tale normativa-quadro: la gratuità e l’esclusivo fine di solidarietà che sono i due elementi che fondano il paradigma del volontario, la sua identità e peculiarità, nonché la democraticità;
  2. le associazioni di vario tipo “con volontari” che non significa però che essi costituiscono la risorsa determinante per il conseguimento della specifica mission;
  3. le organizzazioni costituite da volontari ma prive dei requisiti di democraticità e di autogoverno degli aderenti (gruppi comunali di protezione civile, dipendenti dal sindaco o le Caritas parrocchiali dipendenti dal parroco, etc.).

La gratuità “relativa”. Anche le organizzazioni iscritte ai registri del volontariato non sono sempre in linea con i requisiti della legge come attesta la presenza di fenomeni degenerativi rispetto alla gratuità quando esse danno un rimborso spese forfettario ai volontari (cioè non sulla base di spese documentate), al fine di trattenerli a svolgere con costanza prestazioni richieste da specifiche convenzioni, o non garantiscono la gratuità assoluta delle prestazioni chiedendo all’utenza, su base obbligatoria o facoltativa, un corrispettivo per una o più prestazione ricevute; o quando i volontari non costituiscono la risorsa determinante e prevalente per il conseguimento delle finalità, per cui il lavoro remunerato (in termini di ore e/o di operatori) è equivalente o prevalente rispetto a quello dei volontari. Ciò si verifica nelle organizzazioni che gestiscono servizi importanti, che richiedono professionalità, continuità nelle 24 ore, ripetitività, standard di personale, spesso definito dal committente pubblico con cui sono in convenzione.

La presenza di queste “aree grigie” nei registri del volontariato è di relativa entità se si considera ciascun indicatore; ma proiettando questi dati sul totale delle unità iscritte (10.430 unità esaminate nel 2006 dalla rilevazione Fivol), queste si ridimensionerebbero di oltre un quarto (il 25,6%) avendo uno o più dei seguenti deficit di idoneità. Se non tutto il volontariato che si rifà ai requisiti della legge 266 sta dentro i registri, non tutto quello che è dentro i registri del volontariato è ispirato dalla legge quadro del 1991.

Il calo di tensione “militante”. La tendenziale riduzione del numero medio di volontari continuativi, dai 23 del 2001 ai 18 del 2006 – solo in parte compensato dall’aumento delle Odv in cui sono presenti i “saltuari” – appare un indicatore di una diminuita tensione “militante” nelle Odv, un vero campanello d’allarme.
La presenza di tante Odv basate sull’impegno di pochissimi volontari comporta dei problemi come quello dell’autoreferenzialità e la difficoltà a realizzare forme di coordinamento con altre unità, con il rischio o di isolarsi e di essere una realtà marginale o di cercare rapporti privilegiati con l’Amministrazione pubblica. La perdita di tensione verso l’impegno solidaristico – in quanto vi sono oggi meno persone disposte a farsi carico in modo continuativo e responsabile delle Odv – determina la presenza di molte “organizzazioni dei Presidenti” che proprio per questo hanno un futuro incerto.

L’appannarsi della gratuità tra i volontari: più “utilità sociale” e meno “dono”? L’appannamento del requisito di valore della “gratuità” coinvolge anche i volontari e si caratterizza come un dato culturale dell’attuale fenomeno, come emerge dalle rilevazioni 2006-2008 della Fivol2. Ai 1.926 volontari a cui è stato chiesto di indicare le parole che identificano meglio il volontariato, due sono state scelte da maggioranze significative: «solidarietà » (66%) e «utilità sociale» (62,2%). La prima specifica lo scopo dell’azione volontaria, la seconda il valore aggiunto sociale della stessa. Per 63 rispondenti su 100 l’una o l’altra sono anche quelle prioritarie. La definizione che segue in ordine di frequenza e di priorità è «senza scopo di lucro» (33,1%), condizione non specifica del volontariato e valida per tutte le organizzazioni di Terzo settore, chiamate non a caso proprio non profit. Solo al quarto posto viene indicata, con diversa priorità da 29 intervistati su 100, «gratuità», pur trattandosi di una caratteristica peculiare e distintiva del volontariato, rimarcata nella Legge 266 del 1991 e nella Carta dei valori del volontariato, e in relazione al fatto che è l’unica componente del Terzo settore che non può remunerare in alcun modo i propri aderenti. Poco meno di un quarto dei volontari identifica il volontariato come modalità di «partecipazione». È forse in atto un cambiamento di paradigma nella concezione del volontariato, più sbilanciato sull’«utilità sociale» che sulla «gratuità » e sul «dono», più sulla garanzia del non profit che sulla testimonianza dei valori, credibile proprio perché gratuita?
L’argomento merita una riflessione all’interno del movimento in un frangente storico in cui si afferma idealmente la «cittadinanza attiva» e si valuta l’impatto sociale dell’esperienza di volontariato nell’ottica dell’affermazione della «gratuità del doveroso » e quindi dell’effetto di “contaminazione” dei valori del volontariato che solo la gratuità può veicolare.

Renato Frisanco
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