Per le sfide future
19/05/2011
Il volontariato avrà un futuro solo
se sarà in grado di accettare le sfide
del tempo presente.
- La prima è quella di assolvere al
meglio la sua più importante funzione,
insieme a quella della promozione
dei diritti di cittadinanza, ovvero la
diffusione della cultura della solidarietà.
Questo perché i valori dominanti
sono antitetici a quelli del volontariato
(orientati alla competitività, al
consumismo, all’individualismo, alla
predazione dei “beni comuni”) e non
sufficientemente arginati dalle agenzie
di socializzazione, in primis la scuola,
che deve essere a sua volta sostenuta
nella funzione di formazione alla
cittadinanza. In tale contesto societario
anche il valore costitutivo della
gratuità tende a essere attenuato e
messo in discussione con conseguente
minor disponibilità all’impegno volontario
dei cittadini. Per svolgere tale
funzione, per la costruzione dell’uomo
solidale prima ancora del volontario,
oggi non è sufficiente testimoniare
quello che si è, occorre saper
utilizzare le leve della comunicazione
diretta e del contatto con la cittadinanza,
in particolare con i giovani.
In ogni caso occorre operare con
l’idea di promuovere la disponibilità
di tutti i cittadini, allargando il concetto
di attività di volontariato per includervi
non solo i militanti che si spendono
con molto impegno nelle organizzazioni
solidaristiche, ma anche i
volontari di “x” giornate l’anno, o a progetto, o disponibili a fare uno stage,
così come il volontariato di una famiglia
che tiene per un fine settimana
un bambino che sta in una comunità,
che non ha una famiglia o un minore
immigrato non accompagnato,
fino al “vicino solidale” che si può fare
carico di un bisogno, magari in
coordinamento con l’Odv. L’obiettivo
non è solo garantire turn over e ricambio
generazionale ma anche l’attenzione
solidale dei cittadini, la loro
responsabilizzazione circa i problemi,
perché il volontariato è anche scuola
di sussidiarietà e di partecipazione.
- La seconda sfida per le Odv e i
volontari è quella recuperare una piena
identità. Il volontariato negli anni
dei registri pubblici e dell’esternalizzazione
dei servizi, con la tendenziale
assunzione di responsabilità nella loro
gestione – soprattutto se non coprogettati
con il committente pubblico
– rischia di incorrere in un problema
di riduzione della propria identità.
Vi è infatti una focalizzazione molto
centrata sulla missione dell’organizzazione
che tende a comprimere
quella parte dell’identità dei volontari
che è fatta di “visione”, i valori, il
credo ideale e operativo del volontariato
(perché lo faccio? Per quale modello
di società, di persona e di welfare?).
Ciò induce le Odv a spostare la
stessa formazione dagli aspetti culturali
e valoriali a quelli di tipo tecnicoprofessionale
per rispondere agli
obiettivi di performance. Si è potuto verificare
come questo approccio generi
qualche problema di identità all’interno
delle Odv, soprattutto di quelle
maggiormente orientate alla gestione
di servizi in convenzione. Esse diventano
efficienti erogatrici di servizi, ma
perdono di vista altre fondamentali
prerogative. Inoltre, proprio mentre i
volontari aderiscono alle Odv perché
ne condividono gli obiettivi operativi
piuttosto che i valori, vi è una minor
offerta di formazione sulla cultura del
volontariato. Non è quindi un caso
che gli attivisti intervistati associno il
volontariato più all’utilità sociale e al
non profit che alla gratuità e al dono.
Sono dentro una cultura di servizio
più che della testimonianza.
Ciò rende più debole anche l’identità
dei volontari, se questa si identifica
con quello che fanno, e più problematico
l’incontro con le altre OdV o
non profit viste in qualche modo come
competitive rispetto al fare. È altresì
evidente che se l’identità è forte, perché
è chiara la visione, vi sono anche
meno problemi a confrontarsi e “contaminarsi”
con gli altri soggetti e quindi
a fare lavoro di rete e a partecipare
a coordinamenti. Ecco quindi la stessa
confusione con le altre organizzazioni
di terzo settore, problema non
solo normativo ma anche culturale,
laddove la stessa Odv perde di vista la
propria specifica prerogativa di essere
servizio e testimonianza, dono e
condivisione, a partire dalla fonte del
bisogno e non del finanziamento. Per
fare questo occorre ricalibrare la formazione
– a partire dai Csv – spostandola
sugli aspetti culturali e identitari
del volontariato, avendo chiari valori,
compiti e ruoli. Se questi ultimi possono
cambiare con le esigenze della società,
i valori restano immutabili.
- Una terza sfida per il prossimo futuro è poi quella di diventare, sui
territori, prima ancora che a livello
nazionale, un movimento coeso e unitario
di Odv capaci di incontrarsi e di
coordinarsi per poi dialogare con le
altre forze del non profit e con le amministrazioni
pubbliche, da una posizione
di autonomia di proposta. Vi è in
definitiva un problema di qualità effettiva
dei percorsi di collaborazione,
di strumenti propri della partecipazione
e di posizionamento strategico del
volontariato che ne condiziona l’effettiva
decisionalità nell’elaborazione
delle politiche sociali e del territorio.
Per esempio, i rappresentanti del
volontariato sono chiamati come consulenti
nelle fasi preliminari della preparazione
del Piano di Zona, ma vengono
di fatto disincentivati – se non
estromessi – dalla partecipazione ai
momenti di effettiva decisionalità dalle
amministrazioni pubbliche che tendono
a ridimensionare il ruolo del volontariato
come partner effettivo. Occorre
pertanto investire sulla cultura
della partecipazione e sulla formazione
delle rappresentanze del volontariato,
perché esso diventi soggetto
corresponsabile dei processi decisionali
dentro una logica di governance.
- Una quarta sfida riguarda la ricerca
di un rapporto virtuoso con le
amministrazioni pubbliche, strategico
per un volontariato che voglia essere
soggetto di cambiamento. Esso impatta
oggi nella difficile transizione
del sistema di welfare, da quello tradizionale
a quello plurale (più soggetti
attori) e della cittadinanza (persone
della comunità con i loro diritti esigibili),
e risente della forte riduzione
delle risorse per le politiche sociali
che induce nelle amministrazioni
pubbliche un uso strumentale del volontariato.
A tali effetti si aggiungono
la burocratizzazione e l’istituzionalizzazione,
indotti dal più ravvicinato
rapporto con le Amministrazioni pubbliche,
che tendono a essere più regolative
che promozionali del volontariato.
D’altra parte, anche i processi
di sofisticazione organizzativa e di professionalizzazione
interna alle Odv e
di dipendenza dalle fonti di finanziamento
pubblico – riguarda pressoché
un terzo delle Odv – tendono a ridurre
l’autonomia del volontariato e la
sua capacità di essere forza di pressione,
di partecipazione e di advocacy oltre
che strumento operativo.
Il rapporto con le istituzioni pubbliche
è bifronte. Se da una parte è denso
di rischi per le Odv, dall’altra, lo è
anche di stimoli e opportunità per la
loro crescita e qualificazione. Le ricerche
citate documentano che un volontariato
avulso dal rapporto con le
componenti istituzionali locali stenta
a crescere e corre il rischio di disperdere
le proprie risorse, mentre le Odv
più collaborative con il Pubblico –
senza assumere ruoli di gestori esterni
– sono quelle che funzionano meglio,
oltre a essere le più dinamiche.
Un rapporto con le istituzioni pubbliche
di reciproca utilità qualifica l’Odv
come agente corresponsabile dello
sviluppo della comunità.
Renato Frisanco
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