18/07/2011
L’adolescenza è una lunga e complessa fase di cambiamento,
caratterizzata da microtransizioni e ristrutturazioni
continue dell’identità, di cui appare
sempre più sfumato il tramonto verso l’emergenza
dell’età adulta. Se lo sviluppo umano si caratterizza come
un ciclo continuo dalle infinite possibilità e trasformazioni,
possono comunque individuarsi particolari
momenti di transizione, che implicano una qualche
forma di rottura fra un prima e un dopo. Questi momenti,
interrompendo e perturbando il corso della storia
personale, si distinguono come “momenti di crisi”,
di perdita di punti di riferimento abituali e, proprio
per questo, richiedono una ristrutturazione e riorganizzazione
delle caratteristiche dell’individuo. In tal senso
possono rappresentare importanti opportunità di sviluppo,
mediante le quali la persona, per far fronte alle
richieste poste dalla situazione di incertezza, prova ad
acquisire nuove competenze cognitive e sociali.
L’approccio narrativo legge l’esperienza della transizione come rottura della canonicità (Aleni Sestito, 2004). Per Bruner (1996) le transizioni rappresentano dei “punti di svolta” (turning points), momenti cruciali nella vita di ognuno che segnano la rottura delle routines. I punti di svolta, cioè, si configurano come opportunità di violazione della “canonicità”, attraverso le quali ciascuno può allontanarsi da un copione implicito per intraprendere strade nuove, per conferire originalità e unicità al proprio percorso.
Bauer e McAdams (2004) ipotizzano che lo sviluppo possa dipendere anche dal significato che ciascuno attribuisce alle proprie esperienze che accompagnano e caratterizzano i punti di svolta, importanti perché configurano le variazioni decisive attraverso le quali il soggetto esce dalla banalità di un percorso convenzionale. La canonicità, però, può essere “rotta” anche attraverso l’adozione di comportamenti antisociali. Una transizione, infatti, può essere l’occasione per instaurare nuove relazioni, fare esperienza di nuovi ruoli identitari, ridefinire il proprio Sé, ma essa può, al contempo, rendere il soggetto più fragile e vulnerabile dal momento che non sempre i cambiamenti sfociano in occasioni di evoluzione per la persona
(Aleni Sestito, 2004).
La narrazione, presente
longitudinalmente nello
sviluppo individuale e manifestazione
della tendenza
tipicamente umana a
raccontare quanto accade,
conferisce significato
alle azioni di un individuo,
perché lo presenta
agli altri nel modo in cui
egli reputa opportuno rispetto
al sistema simbolico
individuale e culturale
(Bruner, Lucariello,
1989; Lorenzetti, Stame,
2004). In particolare, in
adolescenza la narrazione
autobiografica può rappresentare
il mezzo mediante
il quale l’esperienza
transizionale viene ricondotta
a unità e coerenza,
per trovare un filo conduttore
che le dia senso.
Se è vero che la narrazione costituisce lo strumento privilegiato di cui il pensiero narrativo si serve per organizzare e dare forma all’esperienza soggettiva e intersoggettiva e per mezzo del quale esso trova espressione, lo è ancora di più durante l’adolescenza perché permette di rispondere all’urgenza tipica di questo periodo di “raccontarsi” e raccontare agli altri il proprio modo di essere e di diventare adulto, di vivere e di gestire la vita quotidiana e le emozioni che questa porta con sé. La narrazione rappresenta dunque una metafora vincente: raccontare storie è da sempre nelle culture orali, come in quelle alfabetizzate, una modalità accettata anzi favorita per esprimere emozioni, intenzioni, desideri.
D’altra parte è da tempi piuttosto recenti che la comunità scientifica e accademica si è accostata al tema “emozioni e adolescenza”. Si tratta di un oggetto di studio relativamente nuovo, i cui contributi più significativi risalgono a Bloss (1962; 1979) che, analizzando la vita emotiva degli adolescenti da una prospettiva psicoanalitica, ha sottolineato l’estrema fragilità emotiva che emerge durante questa fase della vita.
Dolores Rollo