18/07/2011
Durante l'adolescenza, secondo Pietropolli Charmet
(2000; 2005), avviene
un “debutto sulla scena sociale”:
il ragazzo sperimenta
per la prima volta
relazioni con i pari e amorose
che non vengono più
monitorate dal genitore.
L’intensità media delle
esperienze emotive, soprattutto
se confrontata
con le fasi precedenti e
successive del ciclo di vita,
risulta piuttosto elevata
per ognuna delle emozioni
di base. La novità e l’impegno
sul piano relazionale,
determinano un forte
coinvolgimento emotivo
e affettivo, che connota le
esperienze in corso e modula
il processo di costruzione
dell’identità. Lo studio
delle emozioni, condotto
attraverso l’approccio
narrativo, si è sviluppato
in modo dirompente a
partire dagli anni Novanta.
Tale approccio può essere
inquadrato all’interno
della ricerca naturalistica,
di quella ricerca,
cioè, che consente di raccogliere
dati non solo sul
nome attribuito a una data
emozione, ma anche
sul significato che essa
rappresenta per la persona
che racconta, così come
si produce e agisce
nell’ambito dei setting naturali.
L’interesse per questo
tipo di studi è legato alla
svolta narrativa che ha
messo in luce la centralità
della narrazione nella vita
umana, in quanto mezzo
fondamentale per attribuire
significato all’esperienza
(Bruner, 1996).
Tradizionalmente la ricerca ha dedicato il suo interesse alle emozioni negative anche per le loro implicazioni psicopatologiche: la depressione, per esempio, sarebbe collegata alla tristezza, l’aggressività incontrollata alla rabbia, le fobie alla paura e così via. Nell’ambito delle teorie delle emozioni, quelle a valenza positiva hanno sempre rappresentato, in modo più o meno esplicito, un problema: pensiamo per esempio alla funzione che le emozioni negative hanno dal punto di vista evoluzionistico. Altrettanto non si può dire di quelle positive: non è cosa semplice, per esempio, spiegare perché proviamo felicità oppure quale funzione abbia la gioia.
Dolores Rollo