16/01/2013
Foto Corbis
«Parto indolore è una contraddizione in termini», commenta Giuliana Mieli, filosofa e psicologa, con un’esperienza trentennale nei reparti di ostetricia e autrice del libro “Il bambino non è un elettrodomestico” (ed. Feltrinelli), in cui spiega chiaramente il significato del dolore nel parto. La questione, sottolinea, si condensa in poche domande a cui bisogna poter dare una risposta prima – e non durante – il parto: «Come vuoi mandare il tuo bambino nel mondo? Vuoi essere con lui al momento della separazione?». «C’è tutta una propaganda di modernità contrapposta al dolore», commenta la Mieli. «Al dolore appare necessario ribellarsi e molte donne fantasticano sul fatto che l’epidurale le metta in condizioni di maggior rispetto. Di fronte a questo evento sono anzi convinte di avere una libertà senza limiti, anche quella di scegliere il parto cesareo. Penso che il senso del dolore nel parto sia da comprendere, finalmente, in modo laico: non è una condanna biblica, è la comprensione profonda - e l’accettazione - della nostra naturalità, che comprende vita e morte».
La civiltà occidentale sta negando progressivamente queste due esperienze fondamentali dell’essere umano, avverte la Mieli. «E’ necessario arrivare al parto preparate, bisogna trovare le risposte ad alcune domande fondamentali: Cos’è la gravidanza? Perché la natura ha scelto di farti partorire così? Il parto è il primo atto espulsivo del bambino, è un corpo che si separa dal suo frutto: la donna vive una ferita narcisistica, perché la nascita del suo bambino segna la fine di un periodo di onnipotenza, in cui il suo corpo materno e avvolgente bastava completamente al figlio». «C’è una ragione, allora, se il bambino si affaccia gradualmente al mondo, attraverso il “moto ondoso” del travaglio», sottolinea la dottoressa Mieli. «L’uscita è graduale, non improvvisa, è accompagnata dalla madre, che lo spinge fuori ma poi lo aspetta, è sempre lì: proprio come avviene dopo, nel processo lento e graduale della sua crescita».
Benedetta Verrini