Epidurale, quando la cultura supera la natura

Il Ministero della Salute ha recentemente esteso la possibilità di questo tipo di anestesia. Ma dietro alla rimozione del dolore si nasconde una grande questione culturale.

Italia, la medicalizzazione estrema della nascita

16/01/2013
Foto Thinkstock
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I dati mostrano che l’Italia è tra i paesi occidentali che ha maggiormente medicalizzato il parto. Un bambino su quattro nasce con il cesareo, la pratica della “programmazione” dell’intervento ha fatto superare, in alcune regioni, anche il 60% delle nascite attraverso la procedura chirurgica, che comporta maggiori rischi e maggiori costi (al punto che lo stesso ministro Balduzzi, l’anno scorso, ha fatto partire un’indagine condotta dai Nas). La diffusione dell’analgesia epidurale, attualmente utilizzata dal 15% delle partorienti, rappresenta un altro tassello verso una totale medicalizzazione dell’evento nascita. «Contrariamente a quanto si è scritto in queste settimane, le ostetriche non sono contrarie all’epidurale: quando questa è necessaria, ben venga. Anzi, è giusto che sia alla portata di tutte le donne, non solo di quelle che possono pagare per averla», sottolinea Antonella Nespoli, ricercatrice ostetrica presso l’Università Bicocca. «Ma ciò che io vedo, nel decreto Balduzzi, non è un’estensione di un diritto, non è una scelta in più. Le donne avranno sempre più l’anestesia, ma questa diventerà l’unica modalità possibile».

Partorire, però, non è come togliere un dente: «E’ una delle esperienze più importanti della vita», prosegue. «Le statistiche dimostrano che il ricorso all’analgesia e ancora di più al cesareo diminuiscono esponenzialmente se le donne hanno la possibilità di prepararsi al parto e di contare sulla continuità assistenziale di un’ostetrica che le accompagna attraverso tutte le fasi del travaglio, cercando una risposta personalizzata al dolore». L’universalizzazione dell’epidurale, obiettano molti commentatori, è uno strumento che allinea l’Italia al resto d’Europa. «Nel resto d’Europa, però, le donne hanno una vasta scelta su come e dove partorire», avverte la Nespoli. «In Inghilterra, ad esempio, le donne possono scegliere tranquillamente di partorire in casa, possono andare in un born center o in ospedale. La scelta del luogo determina il parto che faranno, ed è una scelta davvero libera e consapevole». «In Italia sempre più datori di lavoro negano il permesso per frequentare il corso pre-parto. Questo significa che le donne non possono prepararsi all’esperienza più importante della loro vita, significa che arrivano in ospedale molto spaventate e che chiederanno immediatamente di essere sollevate da un dolore che non sanno come affrontare», conclude la Nespoli.

Benedetta Verrini
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