L'aborto: uno strappo nell'anima

Un recente saggio mette in dubbio il fatto che l'aborto lasci nelle donne ferite profonde e traumatiche. Un altro testo dice ben altro e gli esperti invitano a non generalizzare.

Evitiare ogni semplificazione

27/03/2013

In un nuovo libro dal titolo La verità, vi prego, sull’aborto (Fandango Libri), Chiara Lalli, filosofa e giornalista, affronta l’evento aborto dal punto di vista delle donne che lo hanno vissuto scegliendolo senza ripensamenti o, come sembra, senza conseguenze traumatiche, secondo l’ottica, scrive l’autrice, «di esplorare una possibilità teorica che si possa scegliere di abortire, che lo si possa fare perché non si vuole un figlio o non se ne vuole un altro, che si possa decidere senza covare conflitti o sensi di colpa».

In particolare, il tema viene trattato con il supporto di studi scientifici che negherebbero l’inevitabilità del trauma da aborto. Un terreno sicuramente delicato dove, secondo Lalli, la morale imperante condanna senza appello le donne che decidono di abortire, in una società dove conta la retorica della maternità concentrata unicamente sul miracolo della riproduzione.

Chiediamo a Giuliana Mieli, psicologa e psicoterapeuta, consulente per vent'anni presso il reparto di ostetricia e ginecologia dell'Ospedale S. Gerardo di Monza, un parere su questa riflessione. «Soprattutto in un ambito come questo va assolutamente evitata ogni semplificazione», afferma. «Non si può passare da un atteggiamento terroristico sull’aborto al dire che è un evento indolore, quasi come fare una passeggiata. Non è così».

L’aborto secondo la la psicologa, è necessariamente un processo che non va a compimento e che, pertanto, presuppone un errore, un passaggio che salta e che va rielaborato: «La riflessione, però, a mio avviso va spostata più a monte. Se oggi è vero che possiamo scegliere una gravidanza, evidentemente qualcosa non ha funzionato se si arriva ad abortire. C’è un problema di consapevolezza all’interno della coppia o dell’individuo. Il senso di colpa nasconde altro, ovvero qualcosa che ha impedito di agire in modo consapevole. Questo perché l’aborto non può rappresentare un metodo contraccettivo. Voglio ricordare, inoltre, che qualunque passaggio o intervento sul corpo è accompagnato da un sentire che matura nel tempo. Ha poco senso intervistare le donne subito dopo l’aborto, e se ci sono degli studi con questa metodologia, direi che sono poco scientifici. Concludo dicendo che l’aborto rimane un atto di responsabilità enorme, comunque lo si consideri». 

Alessandra Turchetti

Orsola Vetri, Alessandra Turchetti e Dionisia Frediani
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