04/11/2011
I primi giorni dei bambini trascorrono pacifici con le loro mamme nella nursery della Clinica Mangiagalli.
Il reparto di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale della clinica Mangiagalli di Milano è uno dei più avanzati in Italia e in Europa. Sono settemila i bambini che vi nascono ogni anno, altrettante donne partoriscono nelle numerose salette sterili, allineate lungo un corridoio e “armate” di tutto punto per consentire un parto il più possibile regolare. Le partorienti attendono con ansia il loro turno, i padri in attesa si pizzicano con le unghie i palmi delle mani. La nascita di un bambino cambia la vita dell’uomo, a partire dalle cose più semplici, dal “cosa fare” con le cose pratiche, con il latte, le pappe, i pannolini, i primi pianti, il ruttino… In un altro corridoio non lontano molti papà e mamme, a turno, si prodigano per imparare dalle puericultrici i primissimi rudimenti della dura professione di genitore. Le processioni di nonni e amici si susseguono ordinate nella grande sala di ricevimento per vedere, toccare, “spupazzare” i nuovi arrivati, pronti, a quel punto, a essere catapultati nel “mondo di fuori”.
Un'incubatrice con un neonato prematuro. La culla è protetta da un panno scuro per proteggere dalla luce il piccolo.
Al piano di sotto, invece, si soffre e lotta. Il Reparto di Terapia
intensiva neonatale vive una vita sua, staccata da quella che si svolge
gioiosa e giocosa all’altro piano. L’atmosfera è più calma, il silenzio
vi regna sovrano. Per entrarci occorre prepararsi, camice verde tipo
“usa e getta”, un approfondito lavaggio delle mani. Il reparto prende in
carico i bambini più sfortunati, quelli con gravi patologie e, tra
loro, soprattutto quelli nati prematuri. «Nei due reparti lavorano 25
medici a tempo pieno», spiega il professor Fabio Mosca, il primario di
quello che è il fiore all’occhiello della Mangiagalli. «Il reparto ha la
peculiarità non solo di curare i neonati gravemente patologici ma anche
di seguirli dopo la dimissione», aggiunge Mosca. È il cosiddetto
follow-up.
I bambini, dopo il parto vengono collocati nelle incubatrici,
seguiti secondo le singole necessità per lunghi giorni e settimane
finché gli organi si stabilizzano e man mano i loro corpicini diventano
sempre più autonomi. «Per fare un esempio, un bambino che nasce di 25
settimane e con un peso di 600 grammi sta da noi in media quattro mesi
con tutto un “saliscendi” di problemi piccoli e grandi. Quando
finalmente va a casa insegniamo ai genitori come accudirlo da soli con
l’aiuto di una psicologa e dei medici - l’otorino, l’oculista, il
neurologo, il fisiatra, i nutrizionisti e tutti gli altri specialisti -
che fin lì lo hanno seguito e che, di lì in poi e fino all’età di circa
10-12 anni, lo accompagneranno nella crescita in forma ambulatoriale
vedendolo periodicamente». Attualmente il reparto ha diverse migliaia di
bambini in follow-up. «Il bello del nostro reparto è che ha un’anima,
condizione necessaria per raggiungere l’obiettivo di migliorare le cure e
di permettere al genitore di vivere con serenità le fasi, non facili
all’inizio, di accompagnare il figlio lungo un percorso complicato»,
spiega il primario. «Il nostro primo compito, oltre alle cure, è quello
di aiutare i genitori ad accettare il loro figlio quando le loro
aspettative, com’è ovvio, erano di avere un bambino normale». I medici e
gli infermieri per lavorare qui, insomma, devono affrontare una
complessità di avere doti umane e professionali particolari per trattare
adeguatamente questi delicati casi. «Al genitore viene detto sempre
tutto e mai nascosto niente», conclude il Mosca: «è raro che, ben accompagnato, il genitore
non accetti il responso del medico».
Stefano Stimamiglio