Crisi, la famiglia paga per tutti

Un convegno promosso da Famiglia Cristiana e Centromarca ha affrontato, con il ministro Riccardi, il difficile equilibrio tra rigore, sviluppo ed equità.

Riccardi: "Troppo individualismo"

19/10/2012
Il ministro con delega alla famiglia Andrea Riccardi nella sede di Famiglia Cristiana (Foto Rossetti).
Il ministro con delega alla famiglia Andrea Riccardi nella sede di Famiglia Cristiana (Foto Rossetti).

«I settori in cui esercito le mie competenze di ministro – cooperazione, integrazione e famiglia – sono stati i settori dove i tagli si sono sentiti drammaticamente». Respinge bonariamente (ma non troppo) il ministro con delega alla famiglia Andrea Riccardi i proiettili del “fuoco amico”, che nella mattinata di quest’oggi lo hanno raggiunto nell’Auditorium Giacomo Alberione di Milano, sede di Famiglia Cristiana, dove si è tenuta la presentazione di un’indagine sulla situazione economica delle famiglie italiane dal titolo: "Sbilancio di famiglia: il difficile equilibrio tra rigore, sviluppo ed equità". Fuoco amico rappresentato dal panel di ospiti presenti. Da Francesco Belletti (Forum delle Famiglie) e Massimiliano Dona (Unione nazionale consumatori) al direttore di Famiglia Cristiana Antonio Sciortino (cui il Ministro non ha lesinato apprezzamenti per aver da sempre predicato, nel deserto, occorre dire…, a favore delle famiglie); da Nando Pagnoncelli dell’Ipsos agli imprenditori Alberto Bauli (presidente dell’omonima e famosa azienda dolciaria) e Giacomo Archi (ad di Henkel Italia). Tutti a commentare i risultati di un’indagine promossa dal nostro settimanale e da Contromarca ed eseguita da Ref Ricerche che ha mostrato come quasi cinque anni di crisi (2008-2012) hanno messo in ginocchio le famiglie italiane, l’ultimo (e definitivo) materasso in ordine di tempo su cui si sono scaricate le terribili mazzate della crisi economica.

Andrea Riccardi durante il suo discorso (Foto Rossetti).
Andrea Riccardi durante il suo discorso (Foto Rossetti).

Le ultime mazzate, del resto, hanno nomi noti e fanno parte della cronaca di queste settimane: blocco delle assunzioni nella Pubblica Amministrazione, blocco dei salari dei dipendenti pubblici, aumento dell’accisa sui carburanti, aumento dell’Iva, Imu, tagli alle pensioni…  «Non si può scaricare la colpa su un governo tecnico che si trova ora, dopo decenni di scelte sbagliate, con il cerino acceso. Abbiamo ereditato una situazione economica che non ci lasciava scelta», si difende Riccardi. Ce l’ha un po’ anche con gli italiani: «Chi è andato alle urne in questi anni? La nostra situazione attuale resta per tutti una grande lezione di storia e non vorrei che il ritrarsi dalla politica dei nostri connazionali fosse anche per un certo senso di colpa sulle loro scelte passate». Dopo l’autodifesa d’ufficio il ministro è passato all’analisi, per nulla tenera: «Non possiamo più utilizzare la famiglia come ammortizzatore perché ci troviamo di fronte ormai alla sua disgregazione; franano le aspettative, il pessimismo e lo scoraggiamento fanno capolino nella società italiana perché il 2012 è stato un “annus horribils”, peggiorato dalle notizie ormai quasi quotidiane di corruzione di uomini con incarichi pubblici».

«Questo sta creando un po’ di rassegnazione», riconosce Riccardi. La nota positiva, come hanno riconosciuto in molti in sala Don Alberione, è la ritrovata credibilità internazionale del governo Monti. Ciò non toglie che in certe materie particolarmente delicate faccia un po’ come può, come mostra il “tenero” ddl sulla corruzione – un’aspirina rispetto alla cura da cavallo che servirebbe – appena presentato in Parlamento. «Il motivo è che il governo è sostenuto da una maggioranza estremamente varia e diversificata», si è giustificato il fondatore di Sant’Egidio. I pericoli che Riccardi ha richiamato sono più di tipo sociologico e antropologico, quindi di lunga durata, che congiunturali: «Mi sembra che in Italia – anche nei ministeri ma non solo – manchiamo di creatività. Ma anche l’associazionismo e il volontariato mi sembrano avere visioni limitate, più ordinate al “piccolo sindacalismo” che a una visione più ampia, partecipativa». In altre parole il veleno iniettato nella società si chiama “individualismo” –  uno dei cui effetti perversi il ministro ha indicato nella sindrome contro lo straniero che si è scatenata soprattutto durante il governo Berlusconi. Individualismo che è­ conseguenza diretta di una globalizzazione senz’anima, che ha introdotto un mutamento che il sociologo Ilvo Diamanti ha definito “periferia infinita”, un ambiente che non promuove legami ma solo, appunto, una «concorrenza non appesantita da legami». «Esiste un’unica medicina», ha concluso il ministro, «promuovere da parte di tutti, anche da parte della società civile, una cultura familiare. Ne va della tenuta della società».

Stefano Stimamiglio
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