Aspettando gli Stati Uniti d'Europa

Rilancio della crescita e degli investimenti, creazione di posti di lavoro. Ma anche più unità politica. Il punto alla vigilia del prossimo vertice Ue del 28-29 giugno.

Uniti per resistere

24/06/2012
Il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, a Roma, il 22 giugno. Foto Ansa. La fotografia di copertina è dell'agenzia Reuters.
Il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, a Roma, il 22 giugno. Foto Ansa. La fotografia di copertina è dell'agenzia Reuters.

Non ci sono tanti modi per dirlo: dopo un decennio in cui i partiti della destra euroscettica o antieuropeista hanno dominato la scena, ci si ritrova a Roma (Monti, la Merkel, Hollande e Rajoy) e ci si ritroverà tra pochi giorni a Bruxelles sospirando quanto si sa da sempre: ci sarebbe voluta, ci vorrebbe e senz'altro ci vorrà una maggiore integrazione politica all'interno dell'Unione Europea.


E' la scoperta dell'acqua calda ma resta una scoperta, almeno per un'Italia in cui Silvio Berlusconi, l'uomo che si considera il "leader dei moderati", un giorno vorrebbe stampare euro con la zecca e l'altro chiede l'uscita della Germania dall'euro; mentre Beppe Grillo, il nuovo che avanza, vorrebbe addirittura che uscissimo noi dall'euro. Il tutto mentre sia i greci sia gli irlandesi (gli uni con il recentissimo voto politico, gli altri con il referendum che ha detto "sì" al Fiscal Compact), cioè i popoli che hanno potuto esprimersi direttamente, hanno chiesto ai loro politici di fare di tutto tranne che abbandonare la moneta unica.

Già vent'anni fa era evidente che, in un mondo di colossi come Usa, Cina, Russia, India, e di Paesi rampanti come mai nella storia (Brasile, Iran, Sudafrica, Israele), sarebbe stato necessario unirsi e integrarsi per mantenere certe posizioni. O anche solo per difendersi dalle turbolenze di un equilibrio planetario in radicale trasformazione: come ben ricorda il professor Moro in uno degli articoli di questo dossier, quest'ultima crisi non è nata in Europa ma negli Usa, con la folle politica del credito sulla bolla immobiliare perseguita dall'amministrazione Bush.


Foto Reuters.
Foto Reuters.

Integrarsi, però, è come fare la coda alla fermata dell'autobus: bisogna accettare di rimetterci individualmente per guadagnarci collettivamente. In altre parole: una sola moneta, sì, ma anche una sola politica finanziaria decisa da una sola banca centrale; un solo esercito; una sola politica estera; un vero governo europeo.

Banale ma finora impossibile. La "casta" l'abbiamo noi come gli altri. E in qualche modo lo ha dimostrato, anche durante il summit di Londra, il presidente francese Franḉois Hollande. Parlare a un francese di "cessione di sovranità" è sempre un azzardo, ma demoralizza sentire il nuovo Presidente ripetere la vecchia litania: "Sì a trasferimenti di sovranità solo se si migliora sul piano della solidarietà".

Che vuol dire? Se la Germania apre i cordoni della borsa, accetteremo una direzione bancaria centralizzata? Come si può non capire che è proprio la mancata integrazione (cioè, il tanto temuto e mai realizzato "trasferimento di sovranità") a impedire una vera solidarietà tra i Paesi europei? E che finché non ci sarà più integrazione non ci sarà nemmeno più solidarietà? Che finché non ci sarà un vero Governo dell'Europa ci sarà sempre una signora Merkel a fare in modo inflessibile gli interessi del proprio Governo, del proprio Stato e del proprio popolo?

In questo campo, e bene ha fatto il premier Monti a ricordarlo, nessuno può far la predica agli altri. Nemmeno la Germania, che nel 2003 denunciò sul 2002 un disavanzo di bilancio pari al 3,6% del Pil, in violazione dei trattati liberamente sottoscritti. Resta da vedere quanti altri disoccupati, giovani senza futuro, esodati e artigiani suicidi dovremo registrare prima di accettare l'inevitabile realtà degli Stati Uniti d'Europa.  

Fulvio Scaglione





  

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Postato da Libero Leo il 24/06/2012 11:14

Ricordo che l’idea di Europa cominciò a diffondersi all’inizio degli anni 60. Col passare del tempo i primi europeisti rimasero delusi perché videro che l’Europa si concretizzava in grandi carrozzoni burocratici ed in una nuova casta europea costituita da politici che, a fronte di spese colossali, producono poco o nulla. I primi europeisti vennero definiti euroscettici proprio da coloro che, inizialmente contrari, capirono che l’Europa era una nuova ‘vacca da mungere’ e che, in nome dell’Europa, si potevano chiedere enormi sacrifici ai cittadini. Questa situazione si manifestò chiaramente con l’avvento dell’euro: decisamente favorevoli i burocrati della nuova casta europea; piuttosto cauti i primi veri europeisti. Per questi la moneta non serve a produrre l’unione, ma piuttosto a confermarla o certificarla. Prima bisogna creare una unione socio-economica, una lingua comune, una unione culturale soprattutto nell’approccio al lavoro, in modo tale che il successivo vincolo monetario, derivante dalla moneta comune, non sia causa di squilibri, di grandi differenze economiche, di sfruttamenti o parassitismi sistematici. Solo dopo aver raggiunto una certa convergenza socio-economica e politica può essere introdotta la moneta comune senza gravi traumi. Ma i burocrati, assetati di nuovi posti e di nuovo potere per la loro casta, decisero di mettere il carro davanti ai buoni, e forzarono l’avvento della moneta unica, reclamizzandone, per l’Italia, gli effimeri vantaggi in termini di minore costo del debito pubblico. Avessimo ascoltato i primi europeisti, cioè i cosiddetti euroscettici! Ci sarebbe voluto un po’ più tempo, ma saremmo arrivati all’euro senza i gravi problemi ed i nodi che ora vengono inesorabilmente al pettine e, soprattutto, ci saremmo arrivati con una efficace unione politica e gli Stati Uniti d’Europa sarebbero più vicini. Ora, per risolvere nel breve-medio termine la drammatica situazione che ha creato la corsa all’euro, non rimane che cercare di convincere la Germania a modificare i trattati che le hanno creato una situazione di grande favore. Per convincere la Germania bisogna attingere all’esperienza di abili imprenditori e finanzieri abituati a difficili trattative. Bisogna attuare una trattativa strategicamente bene impostata, ad esempio, mettendo la controparte di fronte ad alternative per lei estremamente sfavorevoli, minimizzandone gli aspetti a noi sfavorevoli. In pratica, se diciamo, come ha detto Monti, che l’euro è irreversibile, aumentiamo il potere contrattuale della Germania e diminuiamo il nostro. Sarà più difficile schiodare la Germania dalla sua posizione di intransigenza. Invece, se diciamo che abbiamo due opzioni, euro o non euro, costringiamo la Germania a considerare seriamente gli enormi danni che a lei deriverebbero se l’Italia uscisse dall’euro. In definitiva dicendo che l’euro è irreversibile ci diamo la zappa sui piedi. Invece, dicendo che l’uscita dall’euro è una opzione, aumenta la probabilità di rimanerci modificando le condizioni attuali. Ma i professori, in genere, non hanno esperienze concrete di trattative e strategie. Perciò rimane solo la speranza che le dichiarazioni di Grillo e degli altri, che hanno cominciato a dire che l’euro non è un tabù, possano avere qualche effetto nella trattativa in corso con la Germania.

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