06/06/2013
Il magistrato Raffaele Cantone (Ansa).
Raffaele Cantone ha guardato in faccia il mondo di Gomorra per molto
tempo, ha indagato a lungo sui Casalesi, portando a termine il processo
Spartacus. Oggi lavora presso il massimario della Cassazione, ma il
casertano resta la sua terra di persona e di magistrato. E da magistrato
ha letto per noi ZeroZeroZero.
Dottor Cantone, il libro è un’indagine a suo modo. Com’è vista da chi ha indagato per professione?
«Io credo che il tema affrontato sia particolarmente importante, perché
la cocaina è una droga su cui c’è stata una grande sottovalutazione
sociale. Si è pensato per molto tempo erronamente che fosse una droga
meno sporca, una droga che non faceva morire, che non portava
dipendenza. Anche per l’operazione di "marketing" che c’è stata attorno, la cocaina si è diffusa in modo esagerato, anche perché le strategie
di mercato del narcotraffico hanno fatto scendere i prezzi fino a
renderla "popolare". Naturalmente Saviano racconta a modo suo,
attraverso le storie, in questo senso, nella ricerca delle storie, è un
libro di indagine. Il libro, senza un filo logico preciso, ha uno schema
analogo a quello di Gomorra: attraverso le persone racconta fatti».
Capita che gli si rimproveri di non raccontare davvero fatti nuovi, condivide la critica?
«Mi pare un problema mal posto: difficilmente parlando di certi argomenti si fanno scoop. Gomorra
su cui possiamo ragionare, perché è un caso che potremmo definire
posato, ha avuto il merito di rendere le vicende della camorra
intelligibili a tutti. Davvero tutti sapevano? Direi proprio di no, solo
quelli che leggevano ogni giorno i giornali del casertano potevano
riconoscere vicende note. Un conto è dire che determinati fatti
sarebbero in teoria a tutti conoscibili, altro è dire che siano
effettivamente conosciuti. L’originalità è un di più che si chiede
all'opera d'arte, ma il merito di un libro è anche quello di far
arrivare i suoi contenuti alle persone».
Saviano è stato più volte accusato di diffamare un territorio. Anche al
magistrato che indaga a volte arriva questa accusa: rivelare è
considerato un peccato. Anche questo è un problema mal posto?
«Nel caso di ZeroZeroZero è un'accusa improponibile. Non può essere sospettato di
diffamare un territorio, se non altro perché non è legato a un
territorio, ma parla di un problema diffuso ovunque. E’ vero si fa riferimento a
Milano, alla Calabria, a Scampia ma sono episodi tra tanti episodi. E comunque anche quando il
luogo c’è, mi pare che sia un discorso assai ipocrita. La domanda da farsi è:
“Le cose che si raccontano sono vere?” Io diffamo se racconto il falso
ma se io racconto il vero il problema è che
qualcuno aveva cercato di nascondere la verità»
Il libro contiene una forte provocazione: l’idea che per battere il
narcotraffico in fretta si debba affamarlo, cioè legalizzare. Condivide almeno in linea teorica?
«No. La mia è una convinzione basata sulla razionalità, io credo che un
legislatore non possa legiferare solo in termini utilitaristici, deve
porsi il problema degli effetti delle norme sulla società. E su quello
deve ragionare.
Io avrei dei dubbi anche sull’utilità di un simile intervento nel
contrasto al narcotraffico: si sposterebbe solo il problema
degli appetiti dal mercato illegale a quello legale. Faccio un esempio a
me caro: non mi pare proprio che legalizzare le scommesse abbia
tagliato le gambe alle mafie sulle scommesse clandestine, semmai ha
allargato i
loro interessi anche a quelle legali. Con il risultato che le mafie si
sono arricchite e cittadini sono diventati dipendenti. Se le droghe
fanno male, e fanno male, lo Stato non può proprio porsi la domanda,
perché allora
per paradosso domani potremmo anche proporre di legalizzare le
associazioni mafiose così utilizziamo i loro metodi e ci arricchiamo. Va
bene la provocazione, ma che provocazione resti, tra l’altro nessun
Paese ha mai legalizzato ogni tipo di
stupefacenti. Un motivo ci sarà?».
Saviano parla anche del disagio di riflettersi dell’abisso, di guardare
il male e imparare a ragionare come lui. E’ un problema che riguarda
anche voi, la fatica di andare avanti anche quando l’avversario sembra
più forte: la vivete lavorando, pur conservando l’ottimismo della
volontà che porta a continuare?
«Devo dire che io ho interpretato questo passaggio anche in un’altra
chiave. Quando Saviano dice che si specchia nell’abisso, a me dà l’idea
che ammetta di subire anche un minimo il fascino di questo
mondo. Del resto è un classico: nel ruolo dello scrittore in quanto
artista, un po’ come posa un po’ come verità, c'è anche storicamente è
contemplata una componente "maledetta". Da magistrato il mio punto di
vista è completamente diverso: se tu ritenessi che la camorra è un
mostro imbattibile la tua
diventerebbe un’attività velleitaria. Io personalmente non ho mai
pensato di aver di fronte un mondo impossibile da cambiare, per quanto
sicuramente molto difficile da
affrontare. Credo che il confronto tipico del
magistrato debba essere necessariamente improntato all’ottimismo. Il
pessimismo sarebbe il miglior aiuto alla criminalità organizzata».
Elisa Chiari
a cura di Paolo Perazzolo