06/06/2013
La prima presentazione di "Zero zero zero" a Milano.
Un libro che non è solo un libro e un autore che non è solo un autore,
perché funziona tutto molto meglio se attorno al libro si crea l’evento
e se l’autore è anche un personaggio. Roberto Saviano e il suo ZeroZeroZero sono figli, forse loro malgrado, di un tempo in cui l’editoria funziona, anche così.
E allora Milano è il bagno di una folla che aspetta all’umido di
entrare per la prima presentazione: giovani, signore, fidanzati in fila
per due, irrisi da un ragazzo che passa e deve fendere il serpentone per
guadagnare il semaforo. E lo fa, con tono di sfottò, al grido di:
«Regalano soldi? Regalano soldi?». No. Non regalano soldi si fa la fila
per un libro che nasce, e in un Paese a prevalenza di non lettori è
certo un paradosso.
Non tutti sanno perché sono lì: il ragazzo con il telefonino se
la cava con un: «Non avevo niende da fare…», dove il “niente” è una
perifrasi triviale, detta con il tono neutro di chi non si pone il
problema di adeguare il campo metaforico all’interlocutore. La signora
bionda con la figlia, invece, lo sa benissimo, è una fedelissima: «Il lavoro di Saviano vale sempre una fila».
Dentro tanti ingannano l’attesa leggendo in piedi le prime pagine
ognuno per sé, una coppietta si sfiora le labbra con un bacio, un
signore telefona: «Vedrai che alla fine uscirò con la dedica».
Quando si affaccia Roberto Saviano, che i più troppo stipati intravedono appena, l’accoglienza è da concerto rock con tanto di fischi all’americana. Comprensibile, l'ha reso star il successo imprevisto di Gomorra,
romanzo con molto di documentario. Era il 2006 e nessuno si immaginava
che il libro di un esordiente, su un tema arduo e aspro come la camorra,
avrebbe scalato le classifiche: 2 milioni e mezzo in Italia 3 e mezzo
nel mondo, best seller in molti Paesi, tra i 100 libri dell'anno per l'Economist e il New York Times. Il resto l'ha fatto una faccia diventata nota in Tv.E invece è accaduto.
Ma il clima da star system cambia appena si parla, perché non è rock e neanche normale quello che si vive e si dice. Non sono normalità gli agenti che scrutano il pubblico con lo sguardo appuntito. Non
è normalità una vita, lo dice Saviano per primo, che da sette anni, dal
successo di Gomorra che ha portato in dote anche un corredo di minacce e
rischi seri, è un oscillare tra minuti di folla e giorni di solitudine
protetta, in cui né in un caso né nell’altro sei padrone della tua
libertà. Si sorride sì, ma è sorriso amaro, quando dice: «Le statistiche
dicono cinque su cento tirano di coca, per divertirsi, per lavorare di
più, semplicemente per tollerare la vita. Vuol dire uno su venti. E’
inutile che vi guardiate, qualcuno anche tra noi, sì, se non qui là
fuori tra quelli che passano sul tram, per la strada, nel vostro
ufficio, dovunque si vada». Il popolo che ascolta si conta:
quattrocento paia di occhi più o meno si voltano verso il vicino, come
per chiedersi sarà forse lui? E intanto si dice di quel fiume bianco e carsico che muove un’impresa criminale di incomparabile redditività, figlia di un’economia criminale che entra in quella sana e non se ne esce.
I sorrisi si sono spenti, il clima da concerto pure: è calato un silenzio greve,
dove passano solo le parole del giovane scrittore rapato a zero, con la
bocca incisa come quelle dei bambini che, pur sentendosi dalla parte
giusta, ammette di non piacersi: «Potrei dire parafrasando Nietzsche
che quando guardi troppo a lungo nel fondo dell’abisso, l’abisso prima o
poi guarda dentro di te. E’ questo che provo scavando nelle storie
di una ferocia cui non vorrei credere. Quando le trovi ti dici, non è
vero, non è possibile. Avevo pensato di rifugiarmi nel romanzo, di
accontentarmi del verosimile, ma ho capito che non ci riesco: queste
storie vere di inaudita ferocia ti entrano e non se ne vanno, devo
raccontarle, perché chi legge mi metta in discussione, perché mi dica
non ci credo e vada a verificare, perché cerchi di sapere, di non
voltarsi di là».
Saviano sa bene, anche se non lo dice, che c’è chi lo chiama guru,
chi pensa che la sua vita blindata sia pubblicità che funziona, che
sia sostanzialmente un privilegio. Lo sa e spiazza: «Quando vivi, come
me, immerso nella “saittella”, nella fogna come si dice dalle mie parti,
l’abisso che ti guarda diventa un’attitudine, sei costretto a guardare
le ombre, a non fidarti di niente, a ragionare come il peggio
dell’umanità che hai davanti e che racconti. Tante volte mi dico che no,
non lo rifarei. Che avrei potuto trovare altre strade. Sarà paradossale
ma ti accorgi che non ti piace quello che sei diventato, io non voglio
essere un genere: Baggio ha il codino, Rocco ha la pubblicità delle
patatine, Saviano la scorta. Quando sono in difficoltà mi rifugio, io
microbo, nelle parole di Giovanni Falcone, di Primo Levi, ma vorrei tanto poter telefonare al me stesso di 18 anni e dirgli: “Quello che vedi ti trasformerà, non torni indietro. Pensaci”.
A volte mi tornano le parole con cui Primo Levi descrive il suo sogno
ricorrente in lager, tornare a casa, mangiare, raccontare e non essere
creduto mentre tutti gli altri non ascoltano o vanno via, perché non
credono perché non vogliono sentire».
Ma raccontare, rompere la scorza di silenzio che permette alle mafie di lavorare e al mercato della coca di prosperare, è la sola alternativa per far emergere il fiume carsico e arginarlo: «Ce ne sarebbe un’altra più diretta e brutale, affamare le mafie legalizzando la coca, ma è una soluzione moralmente discutibile».
E allora non resta che raccontare: «Se tu diventi chiavica nel
raccontare chi legge e vuole sapere ti migliora». È qui il senso del
verso di Blaga Dimitrova posto in esergo a ZeroZeroZero, che ha venduto 150.000 in una settimana: «Nessuna paura che mi calpestino. L’erba calpestata diventa un sentiero».
Dal fondo quando l’applauso si spegne si alza una voce pacata: «Grazie».
E’ la stessa parola con cui il libro si chiude, nelle due pagine di
ringraziamenti, la stessa implicita nella dedica: «A tutti i carabinieri
della mia scorta. Alle 38.000 trascorse insieme. E a quelle ancora da
trascorrere. Ovunque». Saviano sa, anche se non lo dice, che ci sarà
sempre qualcuno che chiederà quanto costano, facendo finta di non
sapere che quel fiume di polvere bianca, negato da troppi e da troppi
fruito, grava sulle nostre spesso ignare vite infinitamente di più.
Elisa Chiari
a cura di Paolo Perazzolo