Libia, parla chi ha combattuto

Feriti nelle battaglie per cacciare Muammar Gheddafi, i combattenti libici ricoverati in Italia si raccontano. E raccontano il loro futuro.

Parlano i feriti della Libia

25/11/2011
L'evacuazione di un ferito libico.
L'evacuazione di un ferito libico.

“È vero, il difficile viene ora, ma lasciateci festeggiare la fine di un’era che solo 7, 8 mesi fa neanche immaginavamo nei nostri migliori sogni!”. È la frase lapidaria con cui inizia l’intervista Adam, 21 anni, colpito a giugno da una serie di schegge che gli hanno lacerato un braccio, l’addome e un polpaccio a Misurata dove, da appena qualche settimana, aveva imbracciato il fucile contro il Rais.

     Ma suona anche come degno spot di un processo travolgente innescato dalla Primavera Araba, che ha fatto cadere uno dopo l’altro dittatori o uomini di regime apparentemente incrollabili, proprio come le statue che li rappresentavano, disseminate in ogni angolo dei loro Paesi, e che fa tremare i polsi ad autocrati o tiranni di mezzo mondo.

     Nel gruppo di una decina di feriti di guerra ospitati al San Camillo di Roma, ultimo di una serie di libici - in tutto un’ottantina - presi in cura dall’ospedale a varie ondate da aprile a settembre nell’ambito del Progetto di Intervento di Emergenza Socio Sanitaria Per Pazienti della Libia,  c’è soddisfazione e incredulità . “A febbraio - afferma  Omar, un altro ventunenne, costretto alla parziale paralisi degli arti a causa di una bomba che gli è esplosa a pochi centimetri l’8 luglio scorso - eravamo certi che la fine fosse imminente. Passati due, tre, quattro mesi, pensavamo che non ce l’avremmo più fatta”. La notizia della morte di Muammar Gheddafi li ha colti in gran parte di sorpresa e ha dato il via ai festeggiamenti. Ma riposte le bandiere, già dal giorno dopo si riflette sul futuro, tra timori e ottimismo, dubbi sull’esecuzione del Rais e fiducia nella ritrovata intesa attorno alla lotta per la libertà.  

Luca Attanasio
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