10/06/2010
I familiari delle vittime chiedevano la pena capitale. Invece gli otto imputati dell'esplosione della fabbrica di pesticidi di Bhopal, in India, rischiano al massimo due anni.
La sentenza è arrivata “solo” 26 anni dopo, ma non stupisce. Altri disastri ambientali, come quello della petroliera Exxon Valdez, avvenuto nel 1989, aspettano ancora piena giustizia.
I responsabili del disastro, che fece oltre ventimila morti nella notte fra il 2 e il 3 dicembre 1984, sono ex dipendenti indiani della Union Carbide, oggi settantenni, riconosciuti colpevoli di “negligenza”.
Fra gli imputati non figura lo statunitense Warren Anderson, ai tempi presidente della Union Carbide Corporation. Arrestato nel 1984 e rilasciato dietro cauzione da un tribunale dello Stato del Madhya Pradesh, Anderson, 81 anni, è considerato il responsabile principale del disastro, ma essendo latitante non poteva essere processato. Un anno fa la magistratura indiana ha disposto la cattura di Anderson, eppure il mandato non è stato eseguito dalla polizia.
Dove si nasconda Anderson non è un mistero: Greenpeace lo ha fotografato qualche anno fa nella sua casa di Staten Island. Probabilmente non lo si è voluto disturbare. Allo stesso modo nessuno si è mai occupato della bonifica del sito di Bhopal dove l'acqua è ancora oggi avvelenata.
La nube tossica, infatti, produsse i suoi danni anche negli anni a venire e si calcola che mezzo milione di persone abbia subito patologie di differente gravità per le conseguenze dell'inquinamento di terra, aria e acqua.
Nel 2002 gli studiosi scoprirono sostanze tossiche nel latte materno e appurarono che la metà della popolazione della zona soffriva, ancora allora, di disturbi respiratori, anemia, mal di testa, nausea. Le Ong umanitarie tuttora riferiscono di un alto numero di neonati con malformazioni e di molti bambini affetti da malattie come cancro e diabete.
Dossier a cura di Gabriele Salari