09/06/2010
Lo scrittore e premio Nobel Gabriel Garcia Marquez.
È senza dubbio uno di quei romanzi che "si deve" conoscere se
si parla di America latina. Cent'anni di solitudine di Gabriel García
Márquez è uno dei grandi capolavori della
letteratura sudamericana, l'espressione più alta del cosiddetto
realismo magico nella narrativa. E Macondo, il paese teatro della
complessa storia della famiglia Buendía nell'arco di un secolo, è
diventato leggenda.
Nonostante i rimandi alla realtà autobiografica
dell'autore (Macondo è ispirato al paese colombiano dove Márquez è nato,
Aracataca) è difficile assegnargli una collocazione geografica definita
e precisa nella mappa della Colombia. Per fortuna, perché Macondo
rimane, e deve rimanere, un luogo magico, un'utopia, un paese sospeso
tra sogno e realtà, storia e allegorie che, con il suo mistero e la sua
immutabilità, ha incantato generazioni di lettori.
Ancora oggi, nella Loggia dei Mercanti di Milano, dalle 14
alle 24 (la prima parte è andata in scena ieri), Cent'anni di solitudine rivive nella lettura integrale,
pubblica e corale che mettono in scena, alternandosi, ottanta lettori
di diverse età e professioni, tra politici e avvocati, consoli e
scrittori, attori e architetti (e anche il sindaco Letizia
Moratti). "Maratona Macondo" è un evento in prima assoluta nel mondo
(ideato da Andrea Kerbaker) con il quale viene celebrato il ventennale
del Festival latinoamericando (al Forum di Assago dal 16 giugno al 16
agosto, www.latinoamericando.it), una delle più importanti rassegne europee sulla cultura
dell'America latina (dalla musica alla gastronomia), fondato da Juan José Fabiani, peruviano di origine italiana.
Fra gli ottanta lettori della maratona c'è Gianni Biondillo,
architetto e scrittore milanese, autore di romanzi come Con la morte
nel cuore, Metropoli per principianti, Nel nome del padre (tutti
pubblicati da Guanda), oltre che di saggistica e di testi per il cinema e la
Tv.
Biondillo, qual è il suo rapporto con Cent'anni di solitudine?
L'ho letto per la prima volta a 18 anni. L'ho poi ripreso in mano una
decina di anni fa. Non è uno dei miei romanzi preferiti, non mi ha
cambiato l'esistenza, ma è una di quelle opere che si leggono
nell'adolescenza per poi riprenderle più avanti. Ho poi letto anche altri
libri di Márquez, come Cronaca di una morte annunciata.
Eppure, si tratta di un romanzo complesso, ricco di intrecci, certo
non facile.
Io da ragazzo ero un lettore fervido. Leggevo cose tostissime per la
mia età. Anzi, non consiglio mai a nessuno di leggere da giovane quello
che leggevo io.
Qual è, secondo lei, l'eredità letteraria di Gabriel García
Márquez?
Non sono un grande appassionato di letteratura sudamericana. Ma per
chi diventa scrittore, come me, Márquez rappresenta uno di quegli autori
che vengono continuamente "saccheggiati" dal punto di vista letterario.
Márquez ha avuto il grande merito di far convivere perfettamente l'alto
con il basso, la trama con l'espressività, la narrativa popolare con
l'alta qualità e la ricerca stilistica. C'è stato un
periodo in cui sembrava che tutti dovessimo passare per il Sudamerica e
attraverso il realismo magico. Negli anni '70 e '80 questa narrativa andava molto di
moda, sembrava quasi che si dovesse leggere solo letteratura
sudamericana. In quegli anni, comunque, veniva letta con uno sguardo molto
politico e ideologico, cosa che io ritengo miope e sbagliata.
Oggi, però, la narrativa sudamericana nel suo insieme non suscita più
l'interesse di una volta...
Oggi Cent'anni di solitudine appare come un libro generazionale,
molto
noto per chi è over 40, ma quasi sconosciuto per i ragazzini, che
probabilmente non hanno idea della sua importanza letteraria. Un autore
sudamericano, cileno, come Roberto Bolaño è ancora poco letto,
anche se da parte di alcune case editrici italiane c'è una ripresa e una
riscoperta di vari autori latinoamericani. Adesso sembra quasi che letteratura
sia soltanto italiana o nordamericana. E' una cosa che mi imbarazza un
po': è come se al di là di questo panorama non esistesse niente. Faccio
un esempio: quando è stato assegnato il Nobel a Herta Müller, nel 2009, quasi tutti
si sono domandati chi fosse. Eppure, stiamo parlando di narrativa in
Germania, non in un'altra parte del mondo.
Come giudica queste letture pubbliche di opere letterarie? Servono a
fare cultura?
Personalmente amo gli sforzi da maratoneta; mi piace molto leggera ad
alta voce. Non so se queste letture corali possano conquistare nuovi
lettori; ma sono certamente un modo per creare una notizia che, una
volta tanto, non riguardi gossip, veline o calciatori.
Giulia Cerqueti
Dossier a cura di Antonio Sanfrancesco