26/10/2010
Giovanni Paolo II con Tarek Aziz nel 2003, poco prima della guerra.
Era seduto su un divano cremisi nella residenza dell’ambasciatore iracheno presso la Santa Sede. Sabato 15 febbraio 2003, la sera dopo una giornata convulsa, mentre il mondo precipitava verso l’ennesima guerra del Golfo, Tarek Aziz si era appena acceso un sigaro. Accanto lui sedeva il vescovo di Pax Christi, monsignor Luigi Bettazzi, davanti il presidente delle Acli Luigi Bobba e il direttore della Caritas italiana don Vittorio Nozza, poi Sergio Marelli presidente della Focsiv, il mondo cattolico della cooperazione e della solidarietà.
Tarik Aziz era appena tornato da Assisi dove la diplomazia parallela di padre Benjamin, segretario della Fondazione Beato Angelico, lo aveva portato a pregare sulla tomba di San Francesco. Aveva incontrato il Papa. In Vaticano Tarek Aziz era considerato un interlocutore importante. Quella sera il numero due del regime iracheno cercò di spiegare la posizione di Baghdad: “Noi obbediamo all’Onu. Gli ispettori delle Nazioni Unite hanno rivoltato il Paese, ma non hanno trovato alcun arma di distruzione di massa”. Ammise che non poteva essere certo che non ve ne fossero “al cento per cento”, ma disse che gli ispettori potevano restare “tutto il tempo che vogliono”. Poi domandò: “Perché non ci danno una mano? Perché non offrono un piccolo premio al popolo iracheno alleggerendo l’embargo almeno del 5%?”.
Si parlò di democrazia quella sera attorno al divano cremisi. Lui parlava con franchezza: “La democrazia va sviluppata in tempo di pace. Oggi qual è la priorità: la democrazia o la pace? La democrazia o il cibo e le medicine? Bisogna guardare alla priorità dei popoli. Se venisse ridotta la portata dell’embargo potremmo fare di più”. Incontrò, oltre al Papa, anche il segretario di Stato il cardinale Angelo Sodano e il numero due della diplomazia vaticana il vescovo, oggi cardinale, Tauran. Giovanni Paolo II mandò poi una lettera al presidente americano attraverso il cardinale Pio Laghi, amico di vecchia data di George W.Bush. Ma la storia andò in modo diverso, come sappiamo.
Tarek Aziz sapeva che le sue missioni erano quasi impossibili di fronte al mondo che, praticamente unito, voleva la guerra. Cercò di convincere Saddam a collaborare con le Nazioni Unite in modo più convinto e la scelta gli costò alla fine la retrocessione nella gerarchia del regime. Quel giorno del 2003 ad Assisi, in ginocchio davanti alla tomba di san Francesco, pregò insieme ai frati con le stesse parole che Giovanni Paolo II aveva pronunciato proprio ad Assisi quattro mesi dopo l’attacco alle Torri Gemelle: “Mai più violenza, mai più guerra, mai più terrorismo”.
Alberto Bobbio e Fulvio Scaglione