Se la crisi umilia i morti sul lavoro

Alla Fincantieri di Monfalcone l'azienda teme di dover sborsare decine di milioni di euro. E così sono a rischio gli accordi extragiudiziali con le famiglie degli operai.

Vittime dell'amianto, niente soldi per i risarcimenti

29/01/2011
Le proteste dei lavoratori alla Fincantieri di Monfalcone.
Le proteste dei lavoratori alla Fincantieri di Monfalcone.

In Italia si iniziano a vedere i risarcimenti per i morti sul lavoro a causa dell’amianto, ma la crisi economica rischia di rallentare gli accordi extragiudiziali. Questo almeno quanto accade tra la Fincantieri e i familiari delle vittime dell’amianto.

Dopo le prime intese raggiunte nella scorsa estate, le richieste di risarcimento avanzate da alcuni legali non hanno avuto risposta da parte dell’azienda. La Fincantieri ha già sborsato decine di migliaia di euro, in alcuni casi oltre 100 mila, per ogni operaio vittima dell’asbestosi.

E visto che solo alla Fincantieri di Monfalcone sono centinaia i morti da amianto, le cui famiglie hanno presentato esposto alla Procura, e si avvicinano altri maxi processi, il timore dell’azienda è di dover stanziare a questo scopo decine di milioni di euro. Il picco di decessi correlati alle malattie da amianto si dovrebbe avere, infatti, tra il 2015 e il 2020.

Secondo i sindacati è stato usato l’amianto, anche se in misura minore, fino alla metà degli anni Ottanta. Nella zona motori lavoravano decine di operai tra saldatori, tubisti, coibentatori. L’amianto veniva manipolato con una paletta ma anche con le mani quando si trattava di spalmarlo lungo le paratie delle navi. L’attenzione degli operai era incentrata più sulle rivendicazioni salariali e sul lavoro, che rischiava di venir meno per mancanza di commesse. Solo lentamente si prese coscienza del problema amianto.

Negli anni Ottanta - purtroppo per l’azienda - lavoravano nei cantieri navali pochi stranieri, altrimenti il risarcimento sarebbe potuto risultare inferiore. Almeno stando a una sentenza dello scorso ottobre, che ha fatto molto discutere, del Tribunale di Torino.

Il giudice riconobbe ai familiari di un operaio morto, albanese, un risarcimento di dieci volte inferiore rispetto a quello che toccherebbe ai congiunti di un lavoratore in Italia. Il motivo? L' Albania sarebbe un' "area ad economia depressa" e altrimenti madre e padre albanesi otterrebbero "un ingiustificato arricchimento". Dopo aver addebitato all’operaio deceduto il 20% di concorso di colpa nella propria morte, il giudice riconobbe a ciascun genitore residente in Albania la somma risarcitoria di soli 32 mila euro.

Se l’operaio fosse stato italiano, sarebbero state applicate le nuove tabelle in uso presso il Tribunale di Torino dal giugno 2009 in base alle quali a ogni congiunto dell’operaio morto sarebbero stati riconosciuti fra i 150 e i 300 mila euro.

Gabriele Salari
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Postato da giggio il 04/02/2011 17:28

sono perfettamente in sintonia con quanto scritto da traverso. Il militare svolge un lavoro. stare nei paesi dove il governo ha deciso di intervenire è il loro lavoro. la morte è una casualità come quella dell'operaio (spesso però quella dell'operaio è colpa del datore di lavoro che non ottempera alle norme di sicurezza , specialmente se il lavoratore è un extracomunitario). E si finisca di dire che sono martiri altrimenti chiamiamo così anche i morti sul lavoro.

Postato da giorgio traverso il 29/01/2011 18:45

mi piace far notare un piccolo particolare. l'altro giorno sono morti 5 operai sul lavoro, qualche giornale ha messo un trafiletto come notizia. quando muore un soldato in afganistan viene strombazzato sulle prime pagine ditutti i giornali e televisioni. per carità proffondo rispetto per chi muore, però le morti non sono tutte uguali? da notare che l'operaio che muore guadagna 1200-1500 euro al mese mentre il soldato 10.000 e più. e non mi si venga a dire,che c'è la guerra ed è molto pericoloso,perchè ci sono molti lavori altrettanto pericolosi giorgio traverso

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