24/07/2011
I rifiuti a Napoli; una storia infinita. In verità tale evenienza non costituisce certo una sorpresa per amministratori ed addetti ai lavori… i rifiuti per strada non sono “l’emergenza”, sono la punta dell’”icerberg” dell’emergenza, l’eccesso filmato e fotografato su tutti i giornali e la conseguenza più visibile di quella che è la reale e più profonda emergenza rifiuti: la carenza di impianti per gestire uno qualunque dei possibili cicli dei rifiuti mai realmente avviato in questi anni.
Ho detto possibili, non ottimali, su questo ancora oggi, in modo alquanto anacronistico per la verità, si accende la disputa politica. Da chi propugna una raccolta differenziata al 100 per cento a chi vorrebbe incenerire tutto. Fino ad oggi tuttavia, nel discutere quale fosse la soluzione migliore, è stata di fatto perseguita la peggiore…in termini di costi, di efficienza, di rispetto dell’ambiente, e forse con il plauso della criminalità organizzata: portare i rifiuti fuori Regione.
Con quale “competenza” parlo di rifiuti? Circa 5 anni fa, nel giugno del 2006, mi fu affidato, dall’allora Presidente del Consiglio Romano Prodi, su proposta del Ministro dell’Ambiente Pecoraro Scanio, il compito di esaminare la situazione di tutte le Regioni per le quali al tempo era stata dichiarata l’emergenza rifiuti (Lazio, Puglia, Calabria e in particolare la Campania).
Fu istituita una Commissione che lavorò a costo zero con professionalità di livello di differente provenienza (legali, tecnici, ambientalisti).
Studiammo le soluzioni adottate in Italia, nelle Regioni e nei Comuni più “virtuosi”, e nei principali Paesi scandagliando tutte le possibili (anche le più avveniristiche) tipologie di impianti e sistemi per il trattamento rifiuti. Nessuna consulenza: ci relazionammo con le nostre ambasciate italiane all’estero ed in particolare con i consulenti scientifici delle nostre rappresentanze all'estero che ci inviarono dettagliati rapporti e relazioni di alto livello tecnico.
Ci rendemmo conto che tutte le soluzioni adottate si basavano in ogni caso su un rapporto più o meno variabile tra raccolta differenziata, termovalorizzatori e discariche. Soluzioni diverse di impianti più complessi, come gassificatori o simili, venivano utilizzate essenzialmente in Giappone e ciò non perché migliori dal punto di vista ambientale, ma per problemi legati alla morfologia di quel territorio. Il territorio appunto... Fermo restando il rispetto delle leggi e dell’ambiente il miglior ciclo dei rifiuti è quello più razionale e sostenibile in dipendenza della morfologia del territorio e degli impianti in esso già esistenti da poter utilizzare ovvero riconvertire alle nuove esigenze.
Quanti impianti c’erano 4 anni fa in Campania? Posizionammo su
una carta geografica gli impianti che fino ad allora erano stati
realizzati o erano in corso di realizzazione e, con sgomento, ci
accorgemmo che per Napoli vi era un solo termovalorizzatore ancora
in costruzione, Acerra, e pochissimi impianti di compostaggio peraltro
di modesta capienza, così come pressoché inesistenti erano gli
impianti di supporto alla raccolta differenziata, allora ferma a circa
il 13 per cento. Come funzionava il “ciclo dei rifiuti”?I rifiuti
indifferenziati venivano per lo più inviati ai 7 impianti di CDR, quelli
che avrebbero dovuto produrre il cosiddetto combustibile da rifiuto, e
venivano trasformati in “ecoballe” e “fos” (frazione organica
stabilizzata); quest’ultima finiva in discarica, mentre le ecoballe
venivano stoccate per essere in futuro incenerite nel termovalorizzatore
di Acerra.
E così, via via “stoccando”, sono sorte le famose montagne di
“ecoballe”, oltre 6.000.000 tonnellate, con ovvi problemi di spazio per
il loro allocamento e di l’ambiente. Ma gli impianti di CDR erano
sovrautilizzati, non c’era tempo per fare una corretta manutenzione ed
ottimizzarne l’utilizzazione; erano stracolmi ed ogni tanto si
bloccavano, lavoravano male e producevano FOS e CDR di cattiva qualità; e
così capitava che i rifiuti indifferenziati restavano a terra per
giorni fornendo le immagini che purtroppo siamo abituati a vedere.
Roberto Jucci