Guerra in Mali: gas, petrolio e jihad

Un intervento legittimo per ripristinare la libertà o un atto neocoloniale? Gli interessi economici in gioco, oro e uranio compresi. Poi, le vittime: morti, feriti, sfollati, profughi.

La corsa contro il tempo degli organismi umanitari

20/01/2013
Foto Reuters.
Foto Reuters.

«Si apre un nuovo periodo di sofferenza per il popolo maliano, già messo a dura prova. Dalle organizzazioni caritatevoli internazionali, a cominciare da Caritas, ci auguriamo un sostegno generoso per aiutarci a dare assistenza al numero crescente di sfollati e rifugiati, curare i feriti e chi combatte al fronte». Le parole sono dell’arcivescovo di Bamako, monsignor Jean Zerbo.

Il presule riferisce di una grave emergenza umanitaria, per cui «c’è bisogno di cibo, acqua potabile, kit igienici, medicinali anti-malarici e beni di prima necessità». Una crisi che andrà crescendo nelle prossime settimane, «anche perché», aggiunge l’arcivescovo di Bamako, «siamo nella stagione fredda e umida, il che complica non poco l’intervento umanitario.

Mons. Zerbo ricorda tuttavia che l’emergenza non riguarda solo i beni di prima necessità: «Speriamo in un esito felice che porti al respingimento fuori dal territorio maliano di forze islamiche che da un anno a questa parte hanno purtroppo alterato profondamente l’umanesimo africano e la cultura dei maliani fatta di tolleranza, dialogo e serena convivenza interreligiosa».

Nell’immediato, è urgente l’apertura di corridoi umanitari. Al momento, con gli intensi combattimenti in corso, in vaste zone gli operatori delle agenzie e delle Ong non riescono ad accedere. Migliaia di civili sono in fuga dalle zone più colpite dagli scontri armati.

Dall’inizio del 2012, quando il Paese è precipitato nella crisi, il Pam (Programma alimentare mondiale dell’Onu) distribuisce cibo ai rifugiati che sono affluiti nei Paesi confinanti. Le ultima cifre danno una presenza di 60 mila maliani in Niger, 54 mila in Mauritania, oltre 38 mila in Burkina Faso, 1.500 in Algeria. Quindi, oltre 150 mila persone, in totale, a cui vanno ad aggiungersi – come sottolinea Caritas Italiana – altri 250 mila sfollati interni fuggiti dal Nord del Paese verso il Sud, nelle aree sotto il controllo del governo di transizione.

Foto Reuters.
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In queste ore gli appelli alla mobilitazione per fronteggiare l’emergenza-profughi si moltiplicano. «I nostri organismi presenti in Mali, Lvia e Cisv, ci segnalano che molte famiglie di Bamako si ritrovano ad accogliere dai 10 ai 30 rifugiati ciascuna», spiega Gianfranco Cattai, presidente di Focsiv (la federazione di Ong di matrice cristiana), creando una situazione di grande vulnerabilità sia per i profughi stessi che per le famiglie di accoglienza».

Sia Caritas Italiana che Focsiv si mobiliteranno, fin dai prossimi giorni, per attivare una campagna di raccolta fondi da destinare al Mali.

Medici senza Frontiere (Msf), intanto, sta chiedendo di poter entrare nelle zone di combattimento, specie nell’area di Konna, dove al momento nessuno può dare assistenza umanitaria perché le autorità militari impediscono ogni accesso. Msf sta operando nelle zone di Mopti, Timbuktu e Gao. «A Douentza», scrive la Ong internazionale, «le nostre équipe sono rimaste bloccate per alcuni giorni, senza la possibilità di ricevere nuovi rifornimenti. Nonostante questo, i pazienti hanno ricominciato a recarsi al centro di salute garantiamo comunque l’assistenza medica».

«Oggi vediamo l’intervento militare nel nord del Mali», aggiunge Federica Biondi, responsabile per la Ong italiana Intersos in Mauritania, «ma, per chi come noi lavora da anni nei Paesi del Sahel sull’emergenze nate dai conflitti sulle risorse naturali, le minacce concrete di una destabilizzazione dell’intera regione erano evidenti».

«Si sono trascurati allarmi e richiami anche dopo la fine del conflitto in Libia, che ha fatto precipitare la crisi nel Sahel con il ritorno di migliaia di combattenti armati nella regione del Nord Mali», aggiunge la cooperante italiana. «Oggi è difficile prevedere cosa accadrà, sappiamo però che decine di migliaia di civili pagano già il prezzo più alto».

Intersos lancia l’allarme su un altro fronte di emergenza: «È in marcia anche un flusso ancora indefinito di persone verso il confine con la Mauritania», scrive in un comunicato la Ong, «dove dall'inizio della crisi nel 2012 assistiamo i rifugiati dal Mali nel campo profughi di Mberra. Oggi oltre 50.000 persone scappate dal Nord del Paese trovano accoglienza e riparo in condizioni difficili dovute alla povertà, alla malnutrizione e al clima estremo del deserto saheliano». Intersos si prepara ai nuovi arrivi di massa, intensificando le operazioni logistiche per ampliare i servizi e far fronte ai bisogni dei nuovi rifugiati.

Luciano Scalettari

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