È ora di dire basta alla povertà

La società civile chiede al Governo italiano e agli altri Paesi di rispettare gli impegni nei confronti dei più poveri. Un ampio dossier su Famiglia Cristiana in edicola.

Il Summit di New York, un appuntamento cruciale.Ecco perché

20/09/2010
Due fratellini a Lira, Nord Uganda
Due fratellini a Lira, Nord Uganda

Il 20 settembre si aprirà a New York la “tre giorni” dei Paesi Onu per fare il punto sugli Obiettivi del Millennio. È un appuntamento importante perché il Summit si svolge a 10 anni dalla loro definizione e a 5 dalla data che è stata fissata per il loro raggiungimento. Abbiamo chiesto a Marta Guglielmetti, responsabile della Campagna Italiana Onu degli Obiettivi del Millennio, di fare per noi il punto sulla situazione.

- Perché viene considerato un momento cruciale per la Campagna di lotta alla povertà decisa nel 2000?

«Da questo Summit dipenderanno le nuove strategie, che dovranno tenere conto di una situazione economica e geopolitica molto diversa da quella del lontano 2000 e per l’elaborazione dei quali, quindi, i governi membri delle Nazioni Uniti dovranno dimostrare visione strategica e coraggio. Quello che non è mutato infatti in questi anni sono le condizioni di povertà in cui vivono ancora milioni di persone. Troppe per rimanere a guardare senza agire. Per questo dobbiamo essere coscienti dell’importanza di questo momento e inviare ai governi un messaggio chiaro: per i cittadini il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio è una priorità politica, anche in un momento di crisi economica finanziaria».

- Quali sono le aree o i Paesi che hanno camminato di più nella realizzazione?

«Di sicuro se guardiamo i dati globali Onu vediamo che paesi come Cina, India e Brasile hanno vissuto una crescita impressionante, nonostante le sacche di povertà estrema che persistono anche in queste regioni. Disgregando invece i dati riscontriamo all’estremo opposto un’Africa Sub-sahariana che nel suo insieme è ancora lontana dal raggiungimento. Basti un solo esempio: l’obiettivo 1 che si prefigge di dimezzare la percentuale di persone che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. I dati relativi all’Asia orientale ci dicono che dal 1990 a 2005 la percentuale è passata da 60% al 16%. Mentre se analizziamo lo stesso dato relativo all’Africa Sub-sahariana vediamo che la percentuale è passata dal 58% al 51%. Sono cifre che si commentano da sole. È quindi fondamentale riconoscere i progressi fatti nel processo di riduzione della povertà grazie alla strategia definita dagli Obiettivi del Millennio, ma nel contempo è fondamentale riconoscere che servono ulteriori sforzi e focalizzati soprattutto sulle aree che restano più indietro».

- I Paesi donatori talvolta non hanno mantenuto gli impegni, o l'hanno fatto in modo parziale. Quanto pesa questo sul ritardo rispetto alla tabella di marcia in vista del 2015?

«Gli Obiettivi del Millennio sono basati su un concetto chiave: la partnership tra Paesi ricchi e Paesi poveri, tra donatori e Paesi in via di sviluppo. Se uno degli attori viene meno ai propri impegni il rischio è quello di minare anche gli sforzi e i risultati raggiunti da chi invece sta lavorando secondo quanto stabilito in sede internazionale. Purtroppo i dati in nostro possesso ci mettono di fronte a un paradosso inaccettabile. Mentre alcuni dei Paesi più poveri tra i poveri stanno rispettando i loro impegni, molti dei Paesi più ricchi, tra cui l’Italia, sono ancora indietro. Anche se l’Aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) non è l’unico strumento per garantire il raggiungimento degli Obiettivi, è particolarmente indicativo delle volontà politiche di ciascun Paese. L’Italia ha promesso di raggiungere lo 0,7% del proprio Pil entro il 2015 e di raggiungere lo 0,51% entro il 2010. Nonostante le promesse più volte reiterate dal nostro Governo, siamo fermi allo 0,16%. Con questo dato l’Italia non solo è l’ultima dei Paesi europei ma si fa anche carico di una parte di responsabilità per il mancato raggiungimento dell’obiettivo che l’Unione europea si era prefissata di raggiungere come media dei Paesi membri, ovvero lo 0,56% entro il 2010. Ancora una volta vediamo come il mancato rispetto degli impegni di un solo Paese può compromettere o ritardare il raggiungimento degli obiettivi degli altri».

- Siamo ancora in tempo a recuperare il gap?

«Siamo ancora in tempo se si guardano i dati globali, ma non solo. Alcuni Obiettivi come abbiamo visto possiamo ragionevolmente dire che verranno raggiunti, come per esempio il primo. Ma a mio parere ancora più importante che chiedersi se tutti gli obiettivi saranno raggiunti in tutti i Paesi entro la data prefissata è cruciale riconoscere sulla base dei dati a oggi in nostro possesso che la strategia può funzionare, ma solo se tutti faranno la loro parte. È probabile che in alcuni casi il tempo perso fino ad ora non verrà recuperato interamente ma se i Paesi che oggi sono più indietro dimostrano una rinnovata volontà politica supportata da fatti concreti e da pianificazioni realistiche, tra 5 anni potremo essere sicuri di aver fatto grandi passi avanti in tutti gli Obiettivi. E ricordiamoci che dietro ai numeri e alle statistiche ci sono persone reali con le loro sofferenze e la loro dignità di uomini».

Luciano Scalettari
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