L'Italia del Monte di pietà

Il Monte di pietà è l'ultima risorsa prima dell'usura per tanti italiani in difficoltà. E all'ombra della crisi prospera la vendita dell'oro di famiglia.

Impegno il campo, è l'unica cosa che ho

24/01/2012
(Copertina e foto del servizio: Alessandro Tosatto).
(Copertina e foto del servizio: Alessandro Tosatto).

All’ultimo baluardo prima dell’usura, i clienti arrivano alla spicciolata, come chi entra in una banca qualsiasi. Ci sono l’uomo in età in jeans e giubbotto e la coppia giovane dall’abbigliamento simile, la mamma sudamericana con figlia piccola al seguito e le signore con una loro eleganza, in pelliccia ecologica o cappotto cammello. Entrano ed escono con gli occhi bassi, perché agli sportelli di questo, che è un Monte dei pegni, hanno lasciato gioielli e orologi in cambio di denaro spendibile subito.

     Molti di loro riusciranno a riportare a casa l’oro di famiglia, dopo aver risparmiato per restituire la cifra ricevuta e il 6,5% di interessi semestrali previsti. Banche grandi e medie hanno un proprio servizio di pegni in tante città italiane, ma a Milano chi ha ereditato l’insegna dell’antico Monte di pietà fondato nel 1483 da Ludovico il Moro è quello che, attraverso una serie di passaggi bancari, ora fa capo alla Banca Popolare Commercio e Industria, del gruppo Ubi Banca.

     Nel giorno in cui lo visitiamo, in viale Certosa 94, si sono succedute agli sportelli 430 persone: «126 hanno aperto una polizza, 146 l’hanno rinnovata e 140 l’hanno estinta», enumera il direttore Ivano Caldera (che è anche responsabile del servizio pegni per tutte le nove sedi della banca in Lombardia). Oltre 400, infatti, è la media giornaliera delle operazioni che vi sono state effettuate nel 2011. Era di 386 nel 2010 e di 358 nel 2009: anche qui gli effetti della crisi si fanno sentire.

     «Dirigo questo servizio di pegni dal 2004, e ogni anno le operazioni crescevano di circa l’8%», racconta Caldera. «Nel 2011 i prestiti erogati sono aumentati del 10%». E cresce il livello unitario delle polizze erogate, che ora si aggira intorno agli 850 euro. Si può andare da un minimo di 100 euro a un massimo di 25 mila, e si possono impegnare soltanto oro, gioielli e orologi di valore. «L’anno scorso mi ha telefonato un signore che voleva impegnare un campo», sorride con comprensione Ivano Caldera. «È l’unica cosa che ho, mi ha detto».

     Al Monte dei pegni di viale Certosa sono in funzione quattro sportelli, a tre dei quali si affacciano i periti estimatori con il compito di valutare il valore degli oggetti. La cifra riconosciuta a chi impegna il proprio oro è di 11 euro al grammo per il lavorato e di 14 per lingotti o monete. La polizza ha una durata di 6 mesi, al termine dei quali si può rinnovarla o riscattare i gioielli di famiglia. Chi non riesce e decide di farli battere a una delle due aste mensili che la Banca organizza, alla vendita riceve la differenza, al netto delle commissioni bancarie. «Non oltre il 5% delle persone vende, e quest’anno anche meno», precisa Caldera.

     Ma chi sono le persone che si rivolgono al Monte dei Pegni? Pensionati tanti, ma anche molti giovani. L’imprevisto possono essere spese mediche o tasse scolastiche, o per commercianti e piccoli imprenditori (ce ne sono, ce ne sono) una partita di merce pagata e non ancora venduta, o stipendi da corrispondere in assenza di fondi giacenti. Aumentano gli extracomunitari, ma perché sono aumentati tra la popolazione. Chi si rivolge al servizio pegni ha già esaurito gli strumenti dei fidi e dei prestiti bancari.

     Giorgio Montanari è un perito estimatore che lavora in questo Monte dei pegni da 34 anni. È amico di tutte le vecchiette che lo incontrano allo sportello da decenni: «Cosa vuole, sono un buono», ammette. «Se posso attribuire loro quei 10-20 euro in più lo faccio, ma le avverto sempre che così il loro debito aumenta. Una volta capitava più spesso che le signore piangessero quando ci lasciavano i gioielli di famiglia. Se c’è chi impegna le fedi? Sì, certo. Anche perché con due fedi si arriva ad aprire una polizza: sono pesanti, per la festa del matrimonio non si è badato a spese». Una volta ha indirizzato alla Caritas la vedova di un commerciante, con la figlia adolescente, che non possedeva abbastanza oro per ricavare i 100 euro minimi. Capita anche questo, in viale Certosa 94, all’ultimo baluardo prima dell’usura.

Rosanna Biffi
  

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