03/09/2010
Si accende la fiaccola di Roma 1960.
Già, Roma 1960 di Berruti e mia. Ci ho messo mezzo secolo per informarmi bene sulla mia classifica personale, con Roma 1960 davanti alle altre 23 edizioni dei Giochi olimpici da me seguite come giornalista, per quello che è un greve primato mondiale di lavoro.
Ho raccolto testimonianze, critiche, consensi, ma quasi sempre quelli dell’”io c’ero”, e anche in maggioranza quelli del “mi hanno raccontato”, sono stati d’accordo con me: Roma la più bella Olimpiade estiva, almeno del dopoguerra. E poi io ci metto, vicine, Seul 1988 e Barcellona 1992. Mentre per l’inverno nessun dubbio. Lillehammer 1994 molto sola al comando.
C’entrano i miei 25 anni di allora, e lo stupore felice dell’italiano che vede i suoi fratelli di passaporto lavorare bene alla faccia delle prevenzioni e dei loro stessi innegabili difetti, c’entrano Berruti quasi mio fratello e i miei amici della pallanuoto azzurra fattasi d’oro, ma c’entrano anche le bellezze di una città non ancora troppo devastata dal progresso, le sere anzi e le notti a Trastevere ancora pulita e fervida, i calori umani dei quiriti non ancora immersi nella parte smodata di un Alberto Sordi, e persino i politici discreti, rispettosi delle splendide fatiche organizzative del Coni, non predatori di onori e tangenti, con Giulio Andreotti che, presidente dell’organizzazione, poteva persino tenere in latino l’allocuzione al Papa nel suo discorso inaugurale senza far ridere o fare sbadigliare.
Gli stranieri giornalisti e anche turisti erano arrivati con la lente di ingrandimento per scovare tutti nostri difetti, ma di giorno usavano soltanto gli occhiali da sole e la sera vedevano le luci di una Roma bella come nella canzone di Anna Magnani.
G.P.O.
Dossier a cura di Elisa Chiari