04/05/2011
Nicoleta non si è scordata nulla di quell’estate e ne porta ancora i segni. Nel 2006, quando aveva appena quattro anni, sua mamma andò in Italia alla ricerca di fortuna. «Mi ricordo che quando non c’era, io piangevo», racconta con un filo di voce, «però mi telefonava, si informava su quel che avevo fatto durante il giorno e mi diceva di fare la brava, di comportarmi bene». E ancora meglio si ricorda di quel periodo Petra Anton, la nonna paterna di 79 anni che si ritrovò da un giorno all’altro a occuparsi di due bambine, Nicoleta e la sorella Irina di 17 anni (i nomi sono di fantasia). Tanto più che il papà, Ion Anton, 48 anni, girava per l’Europa con il suo camion per lavoro e non si vedeva quasi mai dalla parti di Popesti Leordeni, la città alle porte di Bucarest dove vive la famiglia.
«Di notte la bambina si svegliava urlando “non ho più i genitori, non ho più il papà, non ho più la mamma”», racconta la signora Petra. Che ha vissuto quei quattro mesi come un incubo: «Nicoleta rifiutava il cibo, stava male, ma dalle analisi mediche non risultavano problemi; inoltre era diventata timida, insicura e alla scuola materna si rifiutava persino di parlare». E non mancavano le difficoltà economiche: dai genitori non arrivavano soldi e così bisognava farsi bastare i 100 euro di pensione della nonna.
Oggi il denaro non rappresenta più un grosso problema per gli Anton: la specializzazione presa in Italia da mamma Simona le ha permesso di trovare un posto di alto livello al Golden Tulip Hotel di Bucarest e di portare a casa circa 350 euro netti al mese, un bel gruzzolo per gli standard del Paese. Ma anche considerando tutto questo, sembra che non ne sia valsa la pena. Simona, senza tanti giri di parole, ha detto alla suocera: «Non partirò mai più senza le mie bambine, hanno sofferto troppo». E anche nonna Petra è convinta che sia stato «molto più il dolore provato che i risultati ottenuti».
Come si capisce guardando Nicoleta oggi. Mentre Irina, dovendo prendersi cura della sorella, è maturata molto nei quattro mesi di distacco, la più piccola ne è rimasta traumatizzata. «Quando capita che i genitori manchino, anche per poco tempo», racconta l’anziana donna, «la bambina ha paura, è spaventata». E non è tutto, a sentire fratel Marco De Magistris, presidente della fondazione Leonardo Murialdo, dove la bambina viene seguita passo passo all’interno di un programma contro la dispersione scolastica (vai al sito http://www.murialdo.ro/murialdoweb/home/default_it.asp ). «Molto spesso, quando si trova al centro, Nicoleta chiama la mamma al telefono per tranquillizzarsi», racconta, «e il lavoro educativo con lei consiste nello stimolare la sua capacità di socializzare con gli altri ragazzi, visto che da allora fa fatica a relazionarsi con i coetanei».
Par di capire, insomma, che esperienze come quella di Nicoleta, anche se limitate a pochi mesi, siano destinate a lasciare ferite profonde. «Ricordo un ragazzo», dice ancora De Magistris, «che aveva sfasciato la classe quando i genitori erano all’estero». E questi sono solo alcuni degli episodi che rivelano un disagio che si radica nel bambino. Come spiega Andrea Bisi, psicologa di Save the Children Romania: «Hanno problemi di isolamento, mancano di auto-stima, vivendo con i nonni fanno fatica a relazionarsi con gli adulti e riscontriamo la paura dell’abbandono».
E poi c’è l’altra parte del problema. «Anche l’adulto», sottolinea Bisi, «quando torna dall’Italia spesso ha difficoltà a riadattarsi alla vita romena».
Si tratta dunque di un vero e proprio fenomeno e qualcuno inizia a studiarlo e a cercare i rimedi possibili. Tra questi L’albero della vita, una onlus che ha preparato un dossier su questo argomento (vai al sito http://www.alberodellavita.org/). «Nel Paese si parla di orfani da migrazione», si legge nello studio, «una generazione affidata alle cure di altri, con conseguenze a volte gravi».
E questa situazione si sta aggravando sempre più da 3 anni a questa parte, cioè dall’ingresso della Romania nell’Unione europea. «Si tratta ormai di una piaga», sostiene il dossier, «con profonde implicazioni sia a livello di equilibrio psicologico dell’individuo, sia a livello d’assetto sociale».
I numeri confermano la gravità della situazione. Secondo stime Unicef-Alternative Sociale, in Romania gli “orfani bianchi”, come vengono chiamati, sarebbero 350 mila, una cifra molto più alta di quella diffusa dalle autorità romene, che parlano di poco più di 82 mila casi.
«Il numero di questi minori», sottolinea l’Albero della vita, «sarebbe pari al 7 per cento della popolazione romena tra gli 0 e i 18 anni». Nel dettaglio: «157.000 bambini avrebbero solo il padre all’estero, 67.000 solo la mamma. Più di un terzo, pari a 126.000, sarebbero stati privati di entrambi i genitori. 400.000 avrebbero sperimentato, per un periodo della loro vita, quella particolare forma di solitudine». In totale, quindi, su 5 milioni di bambini romeni, ben 750 mila sarebbero stati colpiti dalla partenza dei loro genitori.
Marco Ratti