21/03/2012
Tonino Guerra e Mario Monicelli (Ansa).
Solo cinque giorni fa aveva compiuto 92 anni e avevamo scritto di lui. Ci ha lasciati oggi Tonino Guerra, sceneggiatore e poeta, ricordato sempre come collaboratore di grandi registi, da Fellini ad Antonioni, al greco Theo Angelopoulos, scomparso due mesi fa.
Vogliamo ricordarlo, invece, per le sue qualità umane, a iniziare da una forza interiore che gli ha dato la carica necessaria a sconfiggere per due volte il tumore al cervello, che poi purtroppo si è nuovamente ripresentato.
Il “maestro” aveva poi una forte passione per la sua terra, la Val Marecchia, per il paesaggio in generale e per gli alberi in particolare. Pare che se ne fosse andato dal suo paese, Sant'Arcangelo di Romagna, per trasferirsi a Pennabilli, dopo aver litigato per un ciliegio che desiderava fosse piantato in piazza, ma che il sindaco di allora non volle.
Non sarà una coincidenza che Tonino Guerra è scomparso proprio ora che i ciliegi sono tutti in fiore. E così i mandorli, amati anch'essi. Diceva spesso: “Ricordati che noi poeti fiutiamo il futuro perché guardiamo i mandorli in fiore”.
Sua l'idea di creare a Pennabilli l'Orto dei frutti dimenticati, proprio nel centro storico, in un terreno abbandonato, che era stato l'orto del convento dei frati missionari. Si tratta di alberi da frutto appartenenti alla flora spontanea delle campagne appenniniche, presenti nei vecchi orti delle case. Meli e peri, ma anche l'azzeruolo (piccole bacche rosse o gialle dal sapore di mela), la pera cotogna, la corniola (una sorta di ciliegia allungata), il giuggiolo (che produce delle "olive" dolciastre, da cui l'espressione “stare in un brodo di giuggiole”), l'uva spina o ancora il biricoccolo (una susina con la buccia vellutata come quella dell'albicocca).
Così come un archeologo arboreo, ha dato un contributo alla riscoperta di piante dimenticate, lo stesso lavoro l'ha fatto con la lingua, restituendo dignità al dialetto.
Le sue raccolte di poesie, come "I scarabocc" e "I bu" sono state apprezzate da Carlo Bo ed Elsa Morante e gli italiani hanno scoperto così il romagnolo, in un periodo in cui l'italiano prendeva piede e ci si iniziava a vergognare di parlare il dialetto.
Nessuna vergogna, invece per Guerra nel parlare il dialetto, nell'essere contadini o anziani. Con la sua poetica ha dato valore alle persone semplici, alle piante semplici e alle parole di uso comune e di questo non finiremo mai di ringraziarlo. Chissà se il 16 marzo avrà sentito le parole dei sindaci della Val Marecchia, riuniti sotto le sue finestre o i bambini cantare “Romagna mia”.
Non ha potuto alzarsi dal letto ma quell'affetto deve essergli arrivato e lo avrà accompagnato nel suo ultimo viaggio terreno.
Gabriele Salari