22/03/2012
(Corbis)
La Banca mondiale ha stimato, recentemente, che l’acqua di 263 bacini fluviali (dal Nilo al Mekong) è uno dei principalifattori di crisi, e potrebbe portare allo scoppio di conflitti bellici.Questi bacini coprono il 45 per cento delle terre emerse eintorno a essi vive il 40 per cento della popolazione mondiale.È evidente che qualunque decisione assunta da un solo Paese può avere pesanti ripercussioni sui Paesi vicini. Finoranon sono scoppiate delle vere e proprie guerre, ma le tensioni in queste aree sono in aumento e il futuro è ancora più inquietante.
Le prossime generazioni rischiano di pagare unprezzo altissimo: la domanda di acqua, infatti, raddoppia ogni ventuno anni e le risorse idriche mondiali vengono sfruttate oltre ogni limite di sostenibilità, soprattutto nei Paesi industrializzati. L’inquinamento e la mancanza di sistemi di depurazione dei reflui, infine, determinano un progressivo deterioramento delle fonti, rendendo spesso inutilizzabili fiumi e falde acquifere. Le risorse idriche diventanoquindi sempre più preziose e l’acqua è ormai un efficace strumento di pressione, soprattutto dove scarseggia.
Emanuele Fantini, esperto di cooperazione internazionale in materiadi risorse idriche, definisce «idropolitica» l’insieme dirapporti, spesso conflittuali, che si vengono a creare tra gliStati che condividono lo stesso bacino idrico. Un esempio per tutti: il progetto turco Gap, che si fonda su un imponentesistema di grandi dighe che dovrebbero imbrigliare il Tigri el’Eufrate per garantire lo sviluppo agricolo e industriale dell’Anatoliasudorientale. Se il progetto turco dovesse andarein porto, Siria e Iraq si vedranno privati di milioni di metri cubi d’acqua.
Giuseppe Altamore