08/04/2012
Mentre Gaza continua a essere un campo di battaglia, con cicli di raid israeliani e lanci di razzi dalla Striscia sul sud di Israele, le forze politiche palestinesi sono impegnate (e impantanate) nel processo di riconciliazione. Un processo ripartito poco più di un anno fa, grazie ai giovani della cosiddetta “primavera palestinese”. Ne è convinta Paola Caridi, analista di Hamas ed esperta della Striscia.
“Quello che è successo a Gaza City, come a Ramallah, il 15 marzo del 2011 – spiega - fa parte delle rivoluzioni cha hanno preso avvio nel dicembre del 2010 in Tunisia e poi in Egitto e che si sono propagate in tutta la regione”.
Il 15 marzo migliaia di giovani di Gaza scesero per strada, chiedendo la fine delle divisioni politiche tra Fatah e Hamas. Come in Tunisia ed Egitto usarono i social network e la rete per comunicare e sebbene non raggiunsero i numeri dei paesi nordafricani, provocarono una forte reazione della politica, da un lato violenta (a Gaza ci furono arresti e repressioni), dall'altro più “diplomatica”.
“Sia Fatah che Hamas – sostiene Caridi - temettero di poter finire anche loro in quel gioco rivoluzionario che aveva portato alla caduta di Ben Ali in Tunisia e di Mubarak in Egitto e da lì si mossero verso la riconciliazione”.
Il leader palestinese Abu Mazen (foto Reuters).
Da allora si sono tenuti diversi colloqui e a Doha, in Qatar, il 6 febbraio scorso, tutte le fazioni politiche palestinesi hanno siglato un accordo di riconcilazione, che prevede la formazione di un governo di unità nazionale guidato da Abu Mazen ed elezioni politiche in data da definirsi.
“Ci sono stati altri incontri dopo Doha – conferma Sami Abu Zouhri, portavoce di Hamas - possiamo dire che le cose stanno andando per il meglio per arrivare alla riconciliazione. Ma non abbiamo ancora definito le date delle elezioni, perchè vogliamo la garanzia internazionale che si facciano a Gerusalemme, perchè Gerusalemme fa parte dell'Autorità nazionale palestinese”.
Ma i problemi non riguardano solo la capitale contesa e il rapporto con Israele. L'accordo di Doha ha scatenato malcontenti dentro Hamas, evidenziando antiche divisioni interne.
“Le primavere arabe hanno inciso sulla struttura di Hamas – continua Caridi - . L'ufficio politico se ne è andato dalla Siria e molti della diaspora hanno dovuto ricollocarsi in altri paesi. La crescita e la vittoria elettorale della fratellanza musulmana in Tunisia ed Egitto sono un altro elemento determinante: Hamas non può non fare parte di questa onda verde del mondo arabo, ma per farne parte deve attuare degli aggiustamenti, diventando una sorta di capitolo palestinese della fratellanza musulmana. Un governo di unità nazionale significa perdere il potere raggiunto in cinque anni a Gaza e questo non sta bene a una parte del movimento, ma tutti si rendono conto che rimanere fuori dall'onda verde farebbe perdere tutto Hamas, anche a Gaza”.
Anna Maria Selini