Don Ciotti: la memoria e la mafia

L'Associazione "Libera" ha celebrato la Giornata delle vittime. Don Luigi Ciotti, fondatore e presidente, risponde alle nostre domande.

Falcone e Borsellino vivono in chi continua il loro lavoro.

23/03/2011

A chi gli chiedeva se valesse la pena di morire per questo Stato, Giovanni Falcone, che un po' se l'aspettava, rispondeva: «Non conosco che questo Stato». Le cronache di questi giorni ci parlano di metodi di indagine in relazione alla riforma della giustizia, di 'ndrangheta che "colonizza" la Lombardia, di un Consiglio comunale, Bordighera in Liguria, sciolto per infiltrazioni mafiose, di boss che prendevano accordi, in massimo sfregio alla memoria, in una stanza intitolata a Falcone e Borsellino, con un'immagine dei due magistrati uccisi nel 1992, a "vegliare" su di loro.Ce n'è abbastanza per chiedere a don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, una chiacchierata a tutto tondo, che nulla di questa attualità risparmi, proprio in occasione della Giornata in memoria delle vittime di mafia. Cominaciamo da qui.

Don Ciotti, il 19 e il 21 marzo "Libera" ha celebrato come ogni anno la giornata in memoria delle vittime di mafia. Manca un anno ai vent’anni dalla morte di Falcone e Borsellino. Cos’è rimasto del loro percorso?

«Il loro percorso non rimane, continua. E continua non a parole, ma nei fatti. La memoria di Falcone, di Borsellino, come di tutte le vittime innocenti delle mafie – sarebbe sbagliato citarne solo alcune, ed è per questo che ogni anno, il 21 marzo, le vogliamo ricordare tutte – si fonda sull’impegno. Quelle persone non sono morte per essere ricordate ma perché credevano in un ideale di giustizia che sta a noi raccogliere e vivere fino in fondo. Le loro sono memorie scomode, che ci sollecitano ogni giorno dell’anno, in ogni istante della nostra vita, non solo in occasione degli anniversari e delle ricorrenze. Per questo l’eredità di Falcone e Borsellino non riguarda solo la magistratura, quel modo innovativo di indagare che visse col pool antimafia di Palermo, guidato da Nino Caponnetto, la sua grande stagione. È un’eredità spirituale che riguarda tutti noi, e che si concretizza nell’impegno di chi svolge la sua professione e la sua vita sociale con responsabilità, rigore, coraggio, coerenza»

a cura di Elisa Chiari
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