16/03/2012
Jarno Trulli.
Forse non è un caso che la Rossa guardi indietro, tagliando il nastro del museo Casa Ferrari, che è più di tutto una corda della nostalgia. In fondo è dalla coppia Ferrari-Ascari, anno del Signore 1953, che non ci sono italiani al volante ai vertici della Formula 1 e quest’anno non ce ne saranno nemmeno in coda, perché per la prima volta dal 1969 il Mondiale parte senza contare un solo pilota italiano in griglia di partenza.
Per trovarne bisogna risalire a ritroso l’albero genealogico di Felipe Massa, alla ricerca di un avolo pugliese, ma non vale. Né vale in Formula 1 il ricorso agli oriundi, che a volte ci salvano la faccia in altri sport di tradizione altrui. Anche se Alonso parla un bellissimo italiano nato, cresciuto ed educato nelle Asturie.
Al massimo ci si consola con i collaudatori, forse con i meccanici anche perché spesso sono loro più che i piloti a decidere ormai le sorti di un Mondiale dove diventa decisivo il pit stop e più ancora l’assetto dell’ipertecnologica macchina, cui genio e sregolatezza dei piloti si devono ormai inchinare.
Non solo, più che i riflessi possono le sospensioni, più che i natali le sponsorizzazioni che pare abbiano inciso non poco sul destino di Jarno Trulli, ultimo italiano alla stregua della bollicina di sodio, lasciato a piedi a vantaggio del russo Petrov, pare meglio economicamente sostenuto. C’è crisi e non è che il costosissimo circo navighi nell’oro.
Ma i talenti non crescono sugli alberi nemmeno in Formula 1 e l’Italia non sembra un Paese per giovani nemmeno qui e chissà quanto ci vorrà per veder sbucare un Alboreto all’orizzonte, pronto a cavalcare una Ferrari, mentre altrove sbocciano, crescono e vincono piloti sempre più ragazzini. E non c’è neanche più la voce di Lucio Dalla a far rinascere «Nuvolari come rinasce il ramarro».
Elisa Chiari