16/03/2012
Fernando Alonso.
Per la prima volta da che è nato (1950, primo il torinese Nino Farina su Alfa Romeo), il campionato mondiale per piloti di Formula 1 vede la disputa di ben venti gran premi. La grossa novità è un “déjà-vu”: il circus ritorna negli Stati Uniti, con il Gran Premio degli Usa, penultima prova, il 18 novembre ad Austin, Texas, una settimana prima della conclusione a San Paolo, Brasile. Bernie Ecclestone, l'inglese che a 82 anni si è autoriconfermato gran capo del circus ormai da qui all'eternità, cerca sempre nuovi palcoscenici: negli ultimi anni c'era stata l'orientalizzazione spinta del programma, fatto asiatico dalla “scoperta” di Bahrein, Abu Dabi, Corea, Malesia, Cina, Singapore, India..., più la meteora Turchia, ad affiancare progressivamente il Giappone.
Forse la resa, sul piano dell'interesse, non è stata pari alle attese, anche se i soldi sono piovuti in maniera ottima e abbondante. Gli Usa sono una sfida, nel senso che laggiù ci sono corse d'auto assai più popolari della Formula 1: non è stata ideale la scelta della rutilante Las Vegas, adesso si prova con il Texas, dove tutto è più grande, più ricco, anche più veloce. Se per il terzo anno consecutivo vince il titolo il tedesco Sebastian Vettel su Red Bull, insidiato al massimo dal compagno di scuderia (austriaca) Mark Webber australiano, c'è il rischio della noia, e amen anzi requiem per McLaren, Mercedes, Ferrari eccetera. Primo anno, la grande sorpresa. Secondo anno, la grande (sin troppo, con le corse decise nelle prove) conferma. Terzo anno, la prospettiva di solito orizzonte piatto, invaso da un sole e uno solo. E sulla Ferrari, attesa da tutti per rivitalizzare le corse, previsioni povere, e addirittura il testa-coda a pochi giorni dal via, con il “ritiro” dell'auto pensata in un primo tempo.
Gian Paolo Ormezzano