16/03/2012
Un modello di moto Ducati.
Germania-Italia 2-0. Le soddisfazioni che i tedeschi sognano
di togliersi con noi nel calcio, se le prendono con gli interessi nei motori.
La doppietta ha come protagonista la Wolkswagen. Primo gol: a febbraio, in un
mese disastroso per le immatricolazioni delle auto in Europa, il colosso
tedesco è rimasto quasi indenne (-2,1% rispetto all’anno prima), aumentando in
compenso la sua quota di mercato dal 22,2% al 23,9%. Il confronto con la Fiat è
impietoso: le vendite sono crollate del 16,5% e la quota di mercato è passata
dal 7,8% al 7,2%.
Secondo gol: nonostante le smentite di prassi da parte
dell’Audi, si fa sempre più concreta l’ipotesi di un passaggio della Ducati al
marchio del gruppo Wolkswagen. E in questo caso non si può proprio parlare di
un marchio che sta risentendo della crisi: l’azienda di Borgo Panigale ha
venduto nel 2011 42 mila moto, con un fatturato prossimo ai 480 milioni di euro
e un incremento del 20% rispetto all’anno precedente. Un altro pezzo pregiato
della storia d’Italia che se ne va, insomma. Quali sono le cause? E siamo
sicuri che sia un male? Giorgio Airaudo, responsabile nazionale per il settore auto della Fiom, è
pragmatico: «Le imprese tedesche, oggettivamente, in questo momento sono quelle
che garantiscono maggiori tutele ai lavoratori. Il punto sarà verificare se
Wolkswagen intende mantenere la produzione in Italia, oppure se le interessa
solo acquisire un marchio conosciuto e ammirato in tutto il mondo. Resta un
dato di fondo: le imprese italiane, parlo delle grandi perché le piccole sono
quasi sulla stessa barca dei loro lavoratori, sembrano aver perso la vocazione
al rischio, all’investimento in nuovi prodotti: preferiscono sopravvivere, ma
in un mercato così aggressivo è una strategia perdente».
Anche in questo caso,
il confronto Wolkswagen-Fiat è emblematico: mentre il gruppo tedesco ha
annunciato 40 novità, fra restyling e modelli nuovi di zecca, nessuno sa
esattamente ancora quale sarà il nuovo piano industriale del Lingotto. Secondo
Airaudo, in questa partita all’Italia manca un protagonista fondamentale, la
politica: «Il ministro del lavoro Elsa Fornero non può limitarsi ad affermare
che non spetta al Governo dire alle imprese cosa devono fare: si deve discutere
insieme e trovare la soluzione migliore possibile per i lavoratori e le loro
famiglie. In concreto, torniamo alla situazione della Fiat. La domanda è: posto
che l’azienda che abbiamo conosciuto per un secolo non esiste più e in futuro
sarà sempre meno legata alle sue origini, cosa si può fare per difendere il più
possibile la succursale italiana della multinazionale Fiat?
Il Governo deve
avere la capacità di avanzare proposte concrete che non escludano anche
contributi, purché siano erogati sul modello di quelli che Obama ha concesso a
Marchionne per risanare la Chrysler: non a fondo perduto, ma con l’impegno a
restituirli entro un termine stabilito e pagando un tasso d’interesse.
Marchionne li ha restituiti addirittura in anticipo e la Chrylser si è ripresa.
Perché questo modello non potrebbe funzionare anche qui? Sarebbe una bellissima
novità e forse le imprese ritroverebbero il coraggio perso in questi anni».
Eugenio Arcidiacono