09/07/2011
(Foto: Amref)
Il Sud Sudan è ancora alle prese con le ferite profonde causate da quasi mezzo secolo di guerra civile per ottenere quell’indipendenza dal Nord del Paese sancita oggi. Il conflitto più lungo e sanguinoso è scoppiato nel 1983 tra il Nord musulmano e il Sud del Paese, a prevalenza cristiana e animista e si è concluso con l’accordo di pace siglato nel 2005.
Le rivendicazioni del Sud sono state caratterizzate dal rifiuto della politica dei partiti islamisti del Nord e dal desiderio di ottenere la secessione dal governo di Karthoum. Non solo, all’origine delle guerre c’era anche il problema della distribuzione iniqua delle ricchezze nazionali.
Il conflitto, aggravato da prolungate carestie, ha causato due milioni di morti e quattro di rifugiati e sfollati. Come pure la distruzione quasi totale delle infrastrutture: scuole, strade, ponti, ospedali. Le conseguenze della guerra ancora oggi sono molto evidenti, specie negli indicatori sanitari, tra i peggiori del mondo: il 48 per cento dei bambini sotto i cinque anni è malnutrito, solo uno su quattro è vaccinato contro il morbillo, soltanto il 5 per cento dei parti è seguito da staff specialistico.
(Foto: Amref)
Nel gennaio 2005 la guerra civile si è conclusa con la firma dell’accordo di pace (denominato CPA, Comprehensive Peace Agreement) che ha incorporato i combattenti dell’Spla (Esercito di Liberazione del Popolo Sudanese) e il suo partito politico di riferimento, l’Splm, all’interno di un governo di unità nazionale.
Sulla base all’accordo è stato programmato il referendum per l’autodeterminazione del Sud Sudan, che si è tenuto dal 9 al 15 gennaio 2011. I risultati ufficiali hanno confermato che il 98,83 per cento dei circa quattro milioni di votanti al referendum si è espresso a favore dell’indipendenza dal Nord. Lo stesso giorno, nel corso di una cerimonia ufficiale insieme a Salva Kiir, allora presidente della regione semiautonoma del Sud Sudan, il presidente sudanese Omar al Bashir, accettando pubblicamente il risultato del voto, ha dato formalmente il via libera alla formazione del nuovo Stato, che nasce oggi, col nome di Repubblica del Sud Sudan e con capitale Juba.
Dopo il referendum, tra le questioni più spinose che restano da affrontare, tuttora causa di tensione e scontri violenti tra i due eserciti, c’è la definizione delle frontiere della regione dell’Abyei, la più ricca di petrolio e dunque la più contesa tra il Nord e il Sud. Il suo status amministrativo doveva essere determinato attraverso un referendum previsto lo scorso gennaio, contestualmente a quello sull'indipendenza del Sud, ma è stato rinviato per il disaccordo emerso in seno alla Commissione elettorale su chi avesse diritto di voto.
L’ultimo accordo, raggiunto il 21 giugno 2011, prevede la sostituzione del commissario dell'amministrazione comunale di Abyei. Il nuovo amministratore dovrà essere scelto dall'Splm, ma con l'approvazione del National congress party del presidente sudanese, Omar al Bashir.
Il mausoleo di John Garang a Juba (Foto: Scalettari)
Resta molto delicata la questione delle risorse petrolifere. Con 500mila barili estratti ogni giorno, il Sudan è il terzo maggiore produttore di petrolio del continente dopo Nigeria e Angola.
Circa l'80% delle riserve di greggio si trovano nel sottosuolo del Sud, ma l'oleodotto e le raffinerie sono gestiti dal Nord, che ha anche lo sbocco al mare.
Tra le tante urgenze con cui nasce il Sud Sudan, quella sanitaria resta la primo posto: il Paese ha bisogno di 1.066 assistenti medici, e può contare oggi soltanto su 39 medici locali in tutto il Paese, dei quali 20 lavorano in cliniche private. La Comunità Internazionale ha riconosciuto l’urgenza di dedicare maggiori risorse al settore sanitario poiché rappresenta un fattore fondamentale per la crescita economica e sociale anche in Sud Sudan.
Luciano Scalettari