Mondiali: Innerhofer, e non solo

Buoni auspici per gli sciatori azzurri ai mondiali di Schladmig: Innerhofer è tornato in forma e gli slalomisti son sempre tra i primi dieci.

Uomini e donne della nostra discesa

04/02/2013
Christian Ghedina (Reuters).
Christian Ghedina (Reuters).

Una volta si chiamava discesa libera, e discesa obbligata era lo slalom. Adesso la discesa è discesa e basta, intorno le altre specialità dello sci alpino si sono ramificate ed anche ingarbugliate, spartendo titoli ed anche sofisticazioni. Ma chi vince la discesa è a sempre il re. Di un giorno, di una stagione, di un Mondiale, di una Olimpiade.

Il 9 a Schladming, Austria, si assegna il titolo mondiale della discesa libera (detentore Erik Guay, canadese), con il nostro Cristof Innerhofer lanciatissimo dalla vittoria in questa stagione a Wengen, sulla pista-mostro chiamata Lauberhorn, e con un altro altoatesino come lui, Dominik Paris, lanciato alla notorietà dall’insperato recente successo a Kitzbuhel, sulla pista-mostro bis chiamata Streif. Sinora ha vinto il Mondiale di discesa un solo italiano, Zeno Colò, nel 1950 ad Aspen, Usa, dove vinse anche lo slalom gigante, disputato per la prima volta nella rassegna iridata, e fu secondo nello slalom speciale, ad appena 3 decimi dallo svizzero Schneider.

Colò è anche il primo e unico italiano ad avere vinto una discesa olimpica: aveva 32 anni quando ai Giochi di Oslo 1952 stracciò tutti. Gareggiava con sci di legno, una cuffia imbottita a far da casco, scendeva come aveva imparato da autodidatta sulle nevi del suo Abetone, anticipava lo stile a uovo per la massima aerodinamicità, ma stava più “alto”, ed era persino un poco legnoso. Era un assoluto naturale. Di mestiere faceva il tagliaboschi. Parole pochissime, timidezza che si involveva in scontrosità. Fece pubblicità, per pochi soldi, a una marca di scarponi e a una di giacche a vento, fu squalificato anzi sacrificato al dilettantismo ipocrita di allora, non gareggiò più. Era toscano, di nascita eccentrica rispetto ai posti sacri dello sci.

Lo abbiamo intervistato: era un forte tenero orso dell’Abetone, davvero. Deteneva anche il primato mondiale di velocità assoluta sugli sci, ai 136 all’ora. Morì povero nel 1993, a 73 anni, assistito negli ultimi anni dalla legge Bacchelli, prevista per aiutare chi ha dato lustro all’Italia.  Il suo erede era designato, designatissimo, si chiamava Eugenio Monti, classe 1928, di Dobbiaco, crescita cortinese, aveva battuto anche Colò. Ma nel 1952 si ruppe un ginocchio, guarì male, nel 1953 altra rottura, fine delle gare della discesa. Tentò nel fondo, aveva il fuoco dentro. Ma voleva il vento in faccia. Provò con le auto, gli suggerirono il bob. Vinse nove titoli mondiali, a due e a quattro. Ai Giochi di Innsbruck 1964 fornì un bullone decisivo per una riparazione del bob all’inglese Nash, che prese l’oro: lui Monti vinse il primo premio “De Coiubertin” intitolato al fair-play.

Gli mancava l’oro di Olimpia, tutto il mondo del bob tifava per lui, che finalmente fece sue le due medaglie massime ai Giochi di Grenoble 1968. Aveva quarant’anni, smise con le gare, faticò subito a sistemarsi nella vita. Storie balorde di rivalità valligiane, problemi con la moglie e la figlia che andarono a vivere in America, un figlio ucciso da un’overdose, e alla fine addosso e dentro a lui il Parkinson. Si uccise sparandosi in faccia nel 2003. Ricordato come “rosso volante”, come campione assoluto, come “artista” maledetto dello sport. 

Da Monti in avanti belle figure di discesisti italiani, non grandissime  figure di campioni. Da citare il cortinese Bruno Alberti, l'altro cortinese Christian Ghedina dalla bella lunga carriera sincopata anche da un gave incidente d’auto,  l’altoatesino Michael Mair, vincitori pure di gare di Coppa del Mondo, mai arrivati però all’affermazione mondiale o olimpica. Da ricordare che Gustavo Thoeni, slalomista sommo, una volta volle provarsi nella discesa già dalla Streif, la terribile pista di Kitzbuhel in Austria dove, prima di Dominik Paris, avevamo vinto solo con Ghedina e finì secondo per un centesimo.

Magari Alberto Tomba poteva imitarlo, ma sempre fu stoppato dal ”no” della mamma alla discesa, ritenuta troppo pericolosa. Lunga stasi maschile, dunque, almeno per risultati di vertice, mentre fra le donne le cose ci andavano meglio, con la Demetz prima, la Kostner poi. E prima la Schir e la Riva, e dopo la Compagnoni, tutte adepte del vento in faccia. Ma intanto le piste sono diventate autostrade, il supergigante ha contaminato la discesa (troppe le somiglianze di tracciato), restano due grandi piste eguali al loro stesso mito, e sono appunto il Lauberhorn di Wengen dove in questa stagione ha vinto Cristof Innerhofer e la Streif di Kitzbuhel dove l'altro giorno ha vinto un altro italiano, Dominik Paris altoatesino, a sorpresa, a sorpresissima.

Se adesso uno dei due vince il Mondiale – e sarebbe l’impresa delle imprese, sulle nevi di un’Austria dominatrice, nel tempo, della specialità - non possiamo dire che non ci abbia avvertiti.          

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