25/05/2013
Carlo Ancelotti, dal Paris Saint Germain al Real Madrid (foto del servizio: Reuters).
La finale del calcio europeo di club, cioè la partita che decide la Champions League, nello stadio londinese di Wembley, fra due squadre tedesche, il Bayern di Monaco e il Borussia di Dortmund, ha patito e sta patendo concorrenze assortite sul piano dell’interesse: nel senso che si parla soprattutto di allenatori, sulla stura, se si vuole, del profondo cambiamento che proprio il Bayern si accinge ad affrontare. Sì, perché dopo la partitissima chiude con il club Jupp Heynkes, che a 68 anni giura di pensare alla pensione, e arriva Pep Guardiola, lo spagnolo anzi il catalano che ha lasciato il Barcellona portato da lui alla supremazia mondiale e si è regalato, con la moglie e le due figlie, un anno sabbatico a New York. Non c’è nel calcio di oggi nulla di più distante dal calcio “breve” e orizzontale di Guardiola (il quale in Italia ha giocato poco nella Roma e due anni nel Brescia, per fortuna sua senza imparare niente di brutto), che chiama i suoi calciatori, di stazza non eccezionale ed esaltati dall’ex nano Messi, ad un intenso palleggio, che il calcio “lungo” e verticale del Bayern attuale, tutto lanci decisi e atletismo, senza superassi ma senza figli di dei minori.
Guardiola, 42 anni, cambierà se stesso o il Bayern cambierà Guardiola? L’interrogativo è appassionante per taluni, interessante e persino divertente per noi, spettatori di un balletto dei tecnici che una volta dava le sue meglio rappresentazioni in casa nostra. L’Italia senza soldi dà il suo contributo allo show, ma soprattutto per linee interne. Mazzarri che lascia il Napoli per l’Inter tutta da rifare, Allegri che, promosso da Galliani ma bocciato da Berlusconi, il quale gli preferisce Seedorf, un ex in campo amato da tutti ma contestato dai tifosi come allenatore inesperto, non dicono molto alla Wall Street delle panchine.
Meglio sul piano dell’immagine ma anche della programmazione il Napoli che affida un piano lungo a Benitez, lo spagnolo poliglotta lasciato libero dal Chelsea (e, prima, liquidato in fretta dall’Inter). Conte che rimane alla Juventus e Montella che rimane alla Fiorentina sono non notizie. E’ non notizia ma “dice” molto quella di Guidolin che rimane ad Udine, dove lavora in tranquillità e sta bene in pace con il se stesso tenace, competente, civilissimo, magari appassionato più di ciclismo che di calcio, il che non guasta.
Diceva il grande Nereo Rocco che un allenatore è bravo se quanto meno non fa danni. La deificazione del ruolo è cosa che parte da lontano, dagli anni Sessanta del “mago” Helenio Herrera, ma che per ragioni mediatiche ha avuto un enorme incremento ultimamente, anche sul piano dei guadagni. L’allenatore è ormai la faccia del club davanti alle telecamere e ai taccuini dei giornalisti, tocca a lui tenere viva l’attenzione quando non c’è la partita, ma anche durante la partita se ci sono occasioni teatrali di proteste. Si è, grazie anche agli immensi guadagni propiziati da investitori o da sciuponi russi e arabi, creata in Europa una consorteria di allenatori celebri, entrare nel giro è difficile, una volta nel giro si esce soltanto se si fanno errori enormi.
Così ecco che il Real Madrid liquida Mourinho che non ha vinto abbastanza anzi ha patitto troppo l’odiato Barcellona e lo sostituisce con Ancelotti che al Paris Saint Germain ha vinto il facile titolo francese e ha ancora un anno di contratto. A Parigi fanno finta di voler trattenere Ancelotti che ovviamente, se restasse lì, farebbe il suo lavoro senza motivazioni, ma intanto guardano altrove o meglio guardano dentro, perché si pensa a Leonardo che era dirigente del Milan, ha fatto l’allenatore dell’Inter, è tornato dirigente al Psg, potrebbe tornare a fare l’allenatore ri-ripassando dalla scrivania alla panchina.
Il Chelsea prende anzi si riprende Mourinho, vecchio amore. Fuori dal giro resta Mancini, liquidato dal Manchester City, ma adesso va di moda anche l’anno sabbatico, dunque per ora nessun problema. Non esistono ragioni perché Ancelotti faccia bene dove Mourinho ha fallito, e Mourinho dove Benitez ha deluso, ma bisogna cambiare per far sapere che si è vivi e vigili e ricchi, capacissimi di pagare cinque milioni di euro l’anno, esentasse, uno che è bravo soprattutto se gli metti a disposizione i giocatori migliori. Tutto un bluff, una farsa, ha ridda di percentuali di agenti furbissimi alle prese con magnati persino più ambiziosi che scemi.
Gian Paolo Ormezzano