06/08/2012
Honduras-Brasile, nei quarti di finale del torneo olimpico di calcio, a Londra 2012 (Reuters).
Ci permettiamo di offrire un piccolo prontuario per seguire i Giochi olimpici che si stanno concludendo, mentre il cosiddetto grande calcio di campionato si sta appropinquando: ormai i due mondi si toccano e stridono, nella testa e nel cuore dell’italiano che ama lo sport anche senza essere, di suo, grande sportivo.
Il primo consiglio è quello di non credere a chi dice che tutto lo sport sano sta a Londra e tutto lo sport malsano sta nell’Italia del pallone.
Non perché il mondo del pallone sia sano,ma perché non lo è quello dell’altro sport: dove ci sono soldi,doping, sponsor, scommesse, corruzioni. E dove il vento di Olimpia, che indubbiamente spira forte, specie con la telespettacolarizzazione estrema dei Giochi e la mondializzazione dell’informazione legata all’uso di cellulari e affini, non muove soltanto le pale classiche e benedette della lealtà, della lotta aperta ma onesta, dell’omaggio al più forte che è anche il più tenace, il più coraggioso, il più chiaro d tutti.
Londra è piena di cose belle come lo è anche il gioco del calcio (così bello quando è bello, direbbe Manzoni). E come il calcio piena è di cose brutte. il problema è discernere, filtrare, separare. E’ non lasciarsi irretire, drogare dalla bellezza delle riprese, delle proposte, delle tematiche, della favole di giornata.
La Roma inpegnata in un'amichevole estiva con El Salvador, a New York (Ansa).
Bisogna sempre tenere presente che dietro ad ogni performance troppo enfatizzata c’è un discorso nazionalistico (i Giochi), settoriale per non dire settario (il calcio), sempre altamente economico, spesso rigorosamente in malafede.
Parliamo dell’enfasi ufficiale, quella a cui non riusciamo proprio a sottrarci: lei aggressiva, noi morbidi, lei maleintenzionata noi bendisposti.
Nel calcio è rigorosamente finalizzata e personificata nell’enfasi del gol, nello sport olimpico c’è un’enfasi diciamo ufficiale, quella dell’inno, della bandiera, e c’è un’enfasi diciamo casalinga, quella del raccontino spicciolo di piccoli grandi eroismi individuali, personali ignoti alle masse sino al giorno della gara, anzi del successo.
Per cui quasi ogni splendido atleta vittorioso ha passato giorni terribili per malattie tremende, quasi ogni magnifica atleta vittoriosa ha avuto un passato ben che vada da piccola fiammiferaia, quando non da vittima di tanti lupi persino fra le mura di casa.
Bisogna, bisognerebbe prima di offrire commozione o entusiasmo ad una performance e al suo autore, offrire anzi ammollare a noi stessi un po’ di critica per essere arrivati sin lì in piena colpevole ignoranza di uno sport, della sua situazione, dei suoi protagonisti.
E fare il fioretto difficile, impegnativo, di occuparci almeno un poco di questo sport nei quattro anni a venire prima della prossima edizione dei Giochi olimpici. A costo – udite, udite – di sottrarre un po’ di attenzioni alle cose del calcio: pare che non sia peccato mortale.
Pratica umile e però altamente raccomandabile, per questione di dignità e buon gusto, deve essere quella di non affettare subito competenza a proposito dello sport olimpico che viene teleofferto, e di criticare troppo in caso di insuccesso, di applaudire troppo in caso di successo. Sport dei quali non ci importa niente per quattro anni non possono essere di botto da noi spupazzati, nel bene e nel male.
Non siamo obbligati a deificare chi vince, anche se è nostro fratello di passaporto, e neanche a trattar male chi perde, anche se veste di azzurro. Dovrebbero essere, i Giochi, la Grande Occasione per conoscere lo sport, non per conoscere l’opportunismo, il banderuolismo di noi stessi tanto saccenti quanto incompetenti.
E quando la lava del calcio arriverà per sommergerci, dovremo insistentemente cercare di surfare un po’ su di essa cercando di ancora vedere anzi guardare, mentre si allontanano nel tempo, le genti e gli eventi di Londra 2012, di conservare immagini e moniti di quella che non è non la più bella edizione dei Giochi di ogni tempo, anche se ad ogni cerimonia di chiusura si proclama così, ma è pur sempre una gran bella cosa.
Gian Paolo Ormezzano