06/08/2012
Il nuotatore statunitense Michael Phelps (Reuters).
Michael Phelps, nuotatore statunitense che a 27 anni si è aggiudicato 22 medaglie olimpiche, come nessun altro al mondo, esalta o umilia lo sport che pratica?
Phelps è indubbiamente un campione, e un campione in genere esalta lo sport in cui primeggia. Però attenzione: Phelps vince (18 gli ori) in uno sport che non riguarda un continente intero, l’Africa, povera d’acqua e con mari e laghi e fiumi infidi, e che in un po’ in tutto il mondo pone a chi ha la pelle scura problemi di accesso alle piscine, basilari per l’agonismo; Phelps vince in tre edizioni consecutive dei Giochi, alla faccia del ricambio in tanti sport, tipo corsa veloce; Phelps vince su distanze assortite, dai 100 ai 400 metri, alla faccia della specializzazione; Phelps vince praticando quattro stili e primeggiando in tre (crawl, dorso e delfino), come se nell’atletica uno dominasse sprint, mezzofondo e salti; Phelps non ha piedi enormi tipo pinne e manone tipo pale (casomai, braccia extralunghe).
Phelps è grandissimo nel nuoto, si capisce. Ma il nuoto non è uno sport universale, come l’atletica nata con il primo uomo - che doveva correre, saltare, scagliare pietre per sopravvivere – e coinvolgente tanto della nostra vita spicciola, quando corriamo per non perdere l’autobus o saltiamo per evitare una pozzanghera. Quanti sono gli umani che praticano il nuoto in situazioni legate alla loro pratica quotidiana di vita?
Il nuoto non è neppure certo di avere identificato definitivamente lo stile ideale per avanzare il più rapidamente possibile.
Grandissimo sport generatore di salute, nonostante tutto é ancora di élite. E quanto al nuoto di gran fondo, in acque aperte, sta al nuoto di piscina come i volteggi circensi dei trapezisti alla ginnastica artistica.
Phelps segna i limiti del nuoto intanto che lo fa suo reame. Più che una tesi, ci sembra una constatazione.
Gian Paolo Ormezzano