Usa, alla scoperta degli evangelici

I protestanti in America sono in costante espansione e aumenta il loro peso politico. Un viaggio per capire i cristiani che potrebbero dare una svolta alle prossime Presidenziali.

Evangelici: chi sono, quanti sono, come votano

02/05/2012
(foto e copertina Getty)
(foto e copertina Getty)

E adesso per chi voteranno gli evangelici?
Questa la domanda più ricorrente tra gli analisti politici americani dopo l’uscita di scena di Rick Santorum. In realtà l’ormai ex candidato cattolico alla nomination Repubblicana ritiratosi per motivi sia personali (la malattia della figlioletta) sia soprattutto politici (l’ incolmabile svantaggio in soldi e delegati, e il rischio di vedere anche la sua Pennsylvania andare al rivale Mitt Romney) era già una seconda scelta. Innanzitutto, proprio perchè cattolico. All’inizio delle primarie, questo blocco di votanti, quasi tutti bianchi e conservatori, numeroso e potente come non mai, aveva altri beniamini (Michelle Backmann, Rick Perry, Tim Pawlenty) tutti protestanti e soprattutto dichiaratamente “born again” (rinati) caratteristica che più di ogni altra aiuta politologi, scienziati sociali e (malcapitati) giornalisti nel difficile compito di tracciare una qualche forma di confine tra chi può considerarsi “evangelico” e chi no.

Se definire, o meglio circoscrivere, questa categoria di cristiani - che Il Pew Research Center (una sorta di ISTAT Americana a cui si appoggiano i maggiori media) stima in almeno un quarto della popolazione – e’ utile per la teologia quanto per il marketing, in un anno elettorale, diventa fondamentale per strateghi e sondaggisti, anche perché, al contrario di tutti gli altri gruppi in cui l’elettorato viene suddiviso, (neri, ispanici, donne, giovani, colletti bianchi, ecc….) è più difficile capire quanti sono che come voteranno. I politici e I loro collaboratori sanno benissimo cosa dire per ingraziarseli, la domanda piuttosto (da qui l’importanza di un ‘censimento’) e’ in che misura valga la pena “farli contenti” rischiando di alienare tutti gli altri. Che gli evangelici in America siano numerosi e potenti e’ un fatto assodato: magari non abbastanza da determinare da soli il risultato di un elezione, ma di certo in grado, con un candidato gradito anche ad altre categorie, di fare da ago della bilancia, come dimostrato, nel 2004, dalla seconda elezione di George W. Bush.

In quell’occasione, John Green, autore del best seller Religione e Guerre Culturali e uno dei maggiori studiosi del fenomeno, fornì in un’intervista alla rete pubblica PBS una delle definizioni ad oggi più efficaci di questa branca del Cristianesimo – che sempre secondo il ‘Pew’ non solo è ormai la più numerosa ma che ad ogni anno che passa sottrae adepti sia a cattolici che a protestanti tradizionali.
Green elenca quattro ‘credo’ cardinali, - punti fermi da loro stessi dichiarati ufficialmente: “Il primo è che la Bibbia sia ‘infallibile’ in tutte le sue definizioni [anche le più simboliche e metaforiche NdA] sia dell’umano (natura origini e fine del mondo) che del divino. Il secondo e’ che l’unica via per la salvezza e la redenzione sia credere in Gesù Cristo. Il terzo, il più noto di tutti, è che la fede sia frutto di un atto ragionato e volontario – quella che in molti casi si definisce “rinascita”. Il quarto ed ultimo ‘credo’ riguarda il dovere di fare proseliti, di “evangelizzare”, appunto”.

Per “altri”, Green intende gli altri protestanti, o più esattamente, gli altri cristiani non cattolici; I battisti ad esempio preferiscono essere definiti così, in una sfumatura ideologica di fatto ignorata dalla statistica. Il Pew, come la maggior parte degli osservatori laici, divide I cristiani d’america in tre grandi categorie che chiama ‘tradizioni’: protestanti evangelici (26%) concentrati soprattutto negli stati del sud e del Midwest meridionale, comunemente definiti ‘Bible belt’ (cintura della Bibbia) cattolici (24%) ad alta densità nel NordEst, nelle metropoli, e nel Sud Ovest, dove più forte è l’influenza antica di irlandesi, italiani e polacchi, e più recente dei ‘latinos’ - e “mainline protestant” (protestanti tradizionali), (18%) sparsi un po’ in tutta la nazione ma più numerosi nelle grandi pianure centrali del nord dove si stabilirono I primi nordeuropei arrivati subito dopo gli inglesi. A tutti questi aggiunge un altro 7% che definisce (al limite del politicamente corretto) “historically black protestant” (protestanti storicamente neri), anche loro, viste pratiche e convinzioni, iscrivibili nella casella ‘evangelici’.
“Li abbiamo considerati a parte”, spiega Greg Smith, responsabile dello studio, “non a causa di razza o teologia, quanto per il loro orientamento politico: per motivi storici, sociali ed economici sono democratici, progressisti, non di rado al limite dell’attivismo radicale, attenti ai temi sociali, tutto il contrario dei loro “colleghi” bianchi, generalmente molto conservatori sui temi privati come aborto e famiglia, antistatalisti e ultraliberisti in economia.

Più difficili da decifrare, invece, tendenze politiche, e intenzioni di voto dei ‘mainline protestants’, categoria numerosa anch’essa, frammentata (secondo il Pew) in almeno una dozzina di denominazioni principali e centinaia di chiese minori, ma più moderata e possibilista nell’approccio ai quattro pilastri elencati da Green. In altre parole, fermo restando il rapporto personale con Dio senza ‘intermediari’, questi ultimi, meno zelanti nel fare proseliti, pensano che la Bibbia si possa anche ‘interpretare’, credono che la Grazia si possa raggiungere anche senza “rinascere” o (se si vive in altre culture) attraverso pratiche non necessariamente legate alla figura di Cristo.
“Gli evangelici, o coloro che si definiscono come tali, hanno poca fiducia nelle gerarchie e nella liturgia in generale” afferma Barbara Rossing docente alla facoltà di Teologia dell’Università Luterana di Chicago. “E’ lecito dire che la loro e’ un’interpretazione più individualista del protestantesimo. In questo, tra I cristiani, si distanziano piu’ di tutti dal cattolicesimo”continua la Rossing, membro attivo a sua volta di una congregazione Luterana “Evangelica” di nome ma in realtà, spiega , tradizionale di fatto. “Noi [Protestanti tradizionali] siamo praticamente una via di mezzo”

E ‘via di mezzo’ I protestanti come la Rossing (circa 40 milioni di americani adulti) lo sono anche politicamente. O meglio, nel loro caso, la fede non funge da bussola principale per il voto, a differenza dei 40 - 60 milioni per I quali invece nella maggior parte dei casi e’ esattamente il contrario. Non stupisce dunque la voglia, anzi la necessità dei sondaggisti politici di tirare, anche rischiando grossolane approssimazioni teologiche, una linea più definita possibile, tra gli uni e gli altri.
E Santorum, grazie a toni, atteggiamenti e contenuti molto più diffusi tra gli evangelici che tra I cattolici come lui, al di là di quella linea durante le primarie era riuscito a sfondare. Un po’ per convinzione personale un po’ per opportunità politica (altro confine, questo, difficile da tracciare dall’esterno) l’ex senatore della Pennsylvania, includendo negli attacchi al presidente Obama e al rivale Romney anche aborto, anticoncezionali e separazione fra Stato e Chiesa, era riuscito a fare breccia nell’elettorato di quegli Stati dove le citazioni bibliche impennano I consensi più dei resoconti economici. Evidentemente però non gli è bastato.
Adesso quei milioni (40?, 50? ,60?) di americani si trovano a scegliere tra un democratico intellettuale e statalista e un milionario mormone, entrambi, per giunta, del Nord. Molti secondo I sondaggi recenti dicono di voler rimanere a casa . Eppure, secondo gran parte degli analisti quasi tutti cambieranno idea e faranno a Novembre quello che Indro Montanelli consigliava di fare agli elettori italiani negli anni settanta: si tapperanno il naso e alla fine voteranno per Mitt Romney.

Stefano Salimbeni

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