22/03/2013
Il preside di Agraria all'università di Bologna Andrea Segrè.
Per produrre un chilo di carne si usano 16 mila litri d'acqua. L'economista Andrea Segrè svela lo spreco idrico nell'industria alimentare.
Pochi lo dicono: il vero spreco non è l’acqua che si beve, ma quella che “si mangia”. A ricordarcelo ci vuole
Andrea Segrè, guru italiano dell’antispreco, il professore che ha dichiarato guerra al “consumo inutile” e alle date di scadenza degli yogurt; che ha aggiunto ai dieci comandamenti ‘non sprecare’ e che dalle aule della facoltà di Agraria di Bologna, di cui è preside, ha portato in tutt’Italia le sue lezioni di “ecostile”.
“E’ stato calcolato che il 70% dei consumi d’acqua dolce, a livello mondiale, è impiegato nel settore agricolo. Un po’ meno del 40% nei Paesi industrializzati e più dell’80% nei Paesi in via di sviluppo”, afferma lo studioso.
“Si chiama ‘impronta idrica’ di un prodotto alimentare, èd è la somma
dell’acqua utilizzata lungo tutta la sua filiera produttiva, dal campo
alle nostre tavole. Ebbene: per la produzione di un chilo di carne di
manzo ci vogliono 16 mila litri d’acqua, mentre per la produzione di
una tazzina di caffè ce ne vogliono 140”, spiega. Se si passa a
calcolare l’impronta idrica di un singolo individuo si scopre invece che
quella di un cittadino italiano è pari a 2.303 metri cubi d’acqua
procapite, a fronte di una media mondiale di 1.385 metri cubi (fonte
www.waterfootprint.org).
Nel suo ultimo libro “Cucinare senza sprechi”, il professor Segrè precisa inoltre che “dietro i pasti che consumiamo ci sono enormi quantità d’acqua: circa
3.600 litri al giorno per un’alimentazione a base di carne, o 2.300 per
una dieta vegetariana. In un anno la dieta mediterranea utilizza poco
più di 1.700 metri cubi d’acqua pro capite, mentre quella di tipo
anglosassone ben 2.600 metri cubi”. Enormi volumi, quindi. “Se però
si utilizzasse tutto quanto viene prodotto dai campi, ci sarebbe forse
una giustificazione”, ragiona l’economista. Il problema dello spreco si
pone in modo drammatico, invece, se si considera che quantità ingenti di
prodotti agricoli non arrivano mai al negozio, ma restano per vari
motivi a marcire nei campi. Gli ultimi dati a nostra disposizione ci
dicono che nelle campagne italiane “nel 2010 s’è prosciugato un volume
d’acqua pari al lago d’Iseo: esattamente 1,2 miliardi di metri cubi
d’acqua, andata sprecata per la produzione di 1,5 milioni di tonnellate
di prodotti agricoli abbandonati nei campi”. Così, per fare solo due
esempi, per la produzione delle 307 mila tonnellate di pesche buttate,
si sono consumati 13,8 milioni di metri cubi d’acqua; per le 156 mila
tonnellate di arance rimaste a marcire altri 58 milioni di metri cubi.
“Uno spreco nello spreco”, commenta amaro Segrè.
Alberto Laggia
Francesco Rosati