07/12/2011
Durban, Sudafrica
Dopo dieci giorni di negoziato, entra nel vivo la Conferenza sui cambiamenti climatici, la Cop 17, sigla che sta per diciassettesima Conferenza degli Stati che hanno aderito alla Convenzione sul clima, Conference of parties. Tocca alla politica. Qui, a Durban, nella Repubblica del Sud Africa, gli "sherpa", ovvero i diplomatici esperti nell'arte di negoziazione, lasciano il campo ai loro rispettivi Ministri che devono tentare in extremis di recuperare un risultato che sembra lontanissimo. Le riunioni preparatorie così come il rush finale delle trattative fatte fin qui, infatti, hanno confermato lo stallo ormai evidente nella attuazione della Convenzione e del Protocollo di Kyoto.
Il Piano di Azione approvato a Bali nella Cop 13 del 2007 e l’Accordo di Cancun ottenuto lo scorso dicembre nel corso della Cop 16 sono ben lontani dall’aver prodotto i risultati sperati. Eppure, lo si sa da anni, la posta in gioco è altissima. Se in questi ultimi quattro giorni di Conferenza non si troverà un accordo per fissare obiettivi vincolanti alla scadenza, nel 2012, del Protocollo di Kyoto le sorti del nostro pianeta saranno messe a repentaglio. Il surriscaldamento della temperatura terrestre oltre i 2°C provocherà cataclismi e calamità ancor più frequenti di oggi; l’innalzamento del livello dei mari sommergerà molte delle piccole isole abitate del Pacifico; 250 milioni di persone nei prossimi trent’anni dovrà abbandonare le proprie terre andando ad incrementare il già enorme numero di rifugiati e di profughi; la biodiversità vegetale ed animale subirà un durissimo colpo.
"Ascoltate la gente, non chi inquina": un'immagine delle proteste svoltesi a Durban, in Sudafrica, durante la Conferenza sull'ambiente promossa dall'Onu.
E’ per ciò che nella mattinata di martedì 6 dicembre, a Durban, migliaia di esponenti delle numerose organizzazioni di società civile
presenti alla Conferenza hanno manifestato per le strade della città chiedendo
ai delegati dei 194 Governi partecipanti di ascoltare la voce disperata dei
miliardi di persone che sopportano le conseguenze drammatiche della loro
irresponsabilità e non soddisfare gli interessi di chi sta sfruttando le
risorse del pianeta incurante del suo destino e di quello delle prossime generazioni.
All’apertura dei lavori la Presidente della Conferenza, Maite Nkoana-Mashabane ministro per le Relazioni internazionali e la cooperazione del Governo
sudafricano, ha richiamato la necessità di “avere coraggio” per impedire che
quest’assise termini come e precedenti con un nulla di fatto che lascerebbe
mano libera ai grandi inquinatori di continuare a uccidere il pianeta. Un
invito che senza dubbio è primariamente indirizzato a Cina e Usa che ancora ad
oggi non hanno modificato le loro posizioni precludendo le possibilità di
progredire nei negoziati. Ciò che occorre per fermare i cambiamenti climatici,
come stabilito dalla Unfcc (United Nation Framework Convention on Climate
Changes), sono misure draconiane: la riduzione delle emissioni di CO2 del
30% entro il 2030 e del 80% entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990; lo
stanziamento di 100 miliardi di dollari per le misure di adattamento dei Paesi
poveri; un piano di azione vincolante per tutti i Paesi basato sul criterio di
“chi più inquina, più contribuisce”.
Ad oggi, viste le posizioni inconciliabili
dei grandi Paesi inquinatori, la speranza è che la Conferenza chiuda i
battenti almeno avendo approvato una proroga sino al 2015 del Protocollo di
Kyoto e definito i percorso da seguire per adottare nel più breve tempo
possibile un nuovo Protocollo e relativo Piano di Azione. Obiettivo
difficilissimo, ma ultimo appiglio cui aggrapparsi per impedire l’ennesimo
fallimento dei negoziati con le inevitabili conseguenze che ne deriverebbero.
Ogni giorno perso, infatti, non fa che accrescere il problema e togliere
speranza ai poveri che più di tutti pagano il prezzo dell’egoismo e del cinismo
di ancora si arricchisce sulle loro spalle.
Sergio Marelli, segretario generale della Focsiv