08/12/2011
Il logo della diciassettesima Conferenza sui cambiamenti climatici promossa dall'Onu a Durban, in Sudafrica.
Durban, Sudafrica
Cina possibilista, Stati Uniti contrari ma imbarazzati, Europa in mezzo, Paesi in via di sviluppo ai margini. Mentre il clima globale
sta subendo variazioni epocali e provocando effetti catastrofici
sulla popolazione mondiale, quello che si respira alla Conferenza
delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, Cop 17, in corso a
Durban, è sempre più stantio e caratterizzato da realismo e
disillusione.
I blocchi imposti al negoziato da Cina (che pure ha pronunciato parole che alcuni osservatori hanno considerato possibili aperture) e Usa, i pesanti
condizionamenti sulle disponibilità finanziarie degli Stati dettati
dalla crisi economica mondiale, le profonde differenze politiche e
strategiche degli Governi e i loro veti incrociati posti in attesa
“della prima mossa degli altri” spingono i lavori verso un
pericoloso nulla di fatto che si potrebbe registrare alla chiusura
dei lavori prevista per il pomeriggio di venerdì 9 dicembre.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, interviene a Durabn, in Sudafrica, alla diciassettesima Conferenza sui cambiamenti climatici promossa dall'Onu.
A riconoscerlo è stato il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, sceso in campo nel tentativo di salvare il salvabile della Conferenza e ricordando alle 194 delegazioni governative partecipanti come “nessuna di queste incertezze deve impedirci di fare dei progressi reali a Durban”. Una posizione chiara ed un invito fatto non senza presentare una via di uscita basata su quattro punti ben precisi: istituire e finanziare il Green climate fund deciso nella Cop 16 di Cancun per consentire ai Paesi poveri di proteggersi dalle conseguenze del clima quale “obbligo e buon investimento per un futuro sostenibile”; garantire la trasparenza nell’assegnazione dei 30 miliardi di dollari previsti per le prime misure entro il 2012 e lo stanziamento di altri 100 miliardi di dollari da qui al 2020; considerare un secondo periodo di proroga del Protocollo di Kyoto; avviare un percorso vincolante verso un nuovo accordo di lungo periodo.
La presa di posizione del Segretario generale, forse, ha sortito qualche primo timido effetto. Innanzitutto la Cina, per bocca del suo capo negoziatore Xie Xhenhua ha dichiarato la propria disponibilità ad aderire ad un “Kyoto-bis” assumendone gli impegni vincolanti, anche se a partire dal 2020. Una posizione forse influenzata dagli ultimi fatti accaduti nel Nord di questo immenso Paese, primo al mondo per i livelli di emissione di CO2, dove il traffico aereo, marittimo e stradale in questi giorni ha subito seri problemi a causa delle nebbie provocate dall’impressionante livello di inquinamento. Pur restando il principale inquinatore mondiale, Pechino è anche il maggiore produttore mondiale di fotovoltaico e il leader dell'eolico. Lo scorso anno ha investito in tecnologie per l'energia pulita 50 miliardi di dollari contro i 17 miliardi degli statunitensi. Poi il presidente della delegazione del Parlamento Europeo, il socialdemocratico tedesco Jo Leinen, ha chiesto senza mezzi termini di porre fine al “ping-pong delle colpe” tra Cina e USA e così poter procedere a sottoscrivere a Durban una roadmap che porti ad un accordo vincolante entro il 2015 e finanziare il fondo di adattamento per i Paesi in Via di Sviluppo.
La diciassettesima Conferenza sui cambiamenti climatici promossa dall'Onu a Durban, in Sudafrica.
Infine, la presidenza della Conferenza ha presentato un nuovo testo del documento finale teso a limitare il surriscaldamento globale “al di sotto dei 1,5 gradi centigradi” e ad introdurre tasse di scopo sui trasporti aerei e marittimi per reperire circa 10 miliardi di dollari all’anno da destinarsi al parziale finanziamento delle misure di adattamento per i Paesi poveri. Nonostante le richieste del nuovo testo negoziale siano meno ambiziose di quanto ritenuto necessario dalla World meteorological organisation (Wmo) per contrastare i cambiamenti climatici, in particolare l’obiettivo dei 2 gradi centigradi entro il quale limitare l’innalzamento della temperatura, il capo delegazione Usa Tod Stern ha subito avanzato le riserve del suo Paese dichiarandosi indisponibile su tutto il fronte. Insomma, a due giorni dalla chiusura dei lavori sembra che l’accordo tra i Governi sia ancora fuori orizzonte.
L’ultima carta che resta da giocare alla presidenza della Conferenza, per non uscire da Durban con l’ennesimo fallimento, potrebbe essere quella di posticipare ogni impegno vincolante di cinque anni, spostando le scadenze precedentemente definite dal 2015 al 2020. Senza però dimenticare che così facendo, il nostro pianeta subirà le conseguenze nefaste di un ulteriore quinquennio di inquinamento e la sua popolazione, soprattutto quella dei Paesi più poveri, patirà gli effetti dirompenti sulla salute e la sicurezza di vita.
Sergio Marelli, segretario generale della Focsiv